Grazie all’autorizzazione dell’editore e dell’autore, pubblichiamo il servizio del vicedirettore di MF/Milano Finanza, Antonio Satta, uscito sul numero del settimanale Milano Finanza della scorsa settimana
Le ultime notizie sul vero Frank Serpico lo davano in giro fra Messico e Canada, novello Diogene che aveva sostituito la botte con un camper. Un’esistenza da homeless che potrebbe sperimentare anche qualche evasore a causa del suo omonimo italiano, il megacomputer dell’Agenzia delle Entrate che dal 1° gennaio ha cominciato a incrociare ogni dato sensibile dei contribuenti nazionali alla velocità di 24.200 informazioni al secondo.
Il Grande Fratello fiscale s’è mosso, si potrebbe dire, facendo il verso al vecchio Pascoli. Certo ora il potere d’intervento di Attilio Befera non ha veramente più confini. Ogni volta che viene richiesto un codice fiscale, l’informazione su quell’operazione finisce in una qualche banca dati e da questa riparte verso il cervellone gestito dalla Sogei in una blindatissima sede a ridosso del Grande Raccordo Anulare di Roma. È qui che l’immenso setaccio telematico isola quel dato e lo combina con ogni altro collegato allo stesso codice. Catasto, Motorizzazione, Banche, Assicurazioni, Inps, Inail, ma anche le bollette, i circuiti di carte di credito, il registro navale, nessuno può evitare la cernita di Ser.p.i.co, acronimo che sta per Servizi per il contribuente. Così, con pochi clic, si può controllare se quanto uno dichiara effettivamente corrisponde a quanto quello stesso possiede e soprattutto al tenore di vita che si permette.
Palestra, scuole private, circoli del tennis, gioielli, alberghi, tutto, come si dice nei film americani, “potrà essere usato contro di voi” se alla fine il saldo tra reddito dichiarato e reddito manifesto non sarà considerato congruo. Una macchina fiscale che già aveva grandi potenzialità, ma da quando ha potuto annettersi anche l’Archivio dei conti correnti è diventata inarrestabile come una falange macedone. Non solo non sfuggiranno i consumi più banali, come le bollette di luce, gas e acqua o le spese fatte con bancomat e carte di credito, ma nemmeno si potrà ricorrere al trucco di farsi la macchina o la barca in leasing, perché anche quei contratti finiranno nel setaccio.
Un meccanismo sognato da Vincenzo Visco, ma per la verità messo a punto in tutta la sua calvinistica efficienza da Giulio Tremonti, che celebrava con un’intervista all’Avvenire, pubblicata l’8 ottobre 2011 (un mese prima della caduta del governo Berlusconi), la rivoluzione impressa con la manovra economica dell’agosto precedente, ossia la cancellazione del segreto bancario. “Abbiamo stabilito che scompare sul serio e, in pratica, nessuno se n’è ancora accorto, nessuno l’ha notato, nessuno l’ha sottolineato con la giusta rilevanza”. Ecco, adesso se ne stanno accorgendo tutti, e magari Tremonti, che ora ha legato le sorti elettorali del suo movimento 3L con quelle della Lega, forse non rivendicherebbe più la natura “profondamente morale e politica”, di quest’operazione, ricordando che si era trattato “di una scelta non più rinviabile. In Europa funziona così, anzi molto di più. In Europa tutti i dati sono infatti online. Se hai soldi in banca, lo dichiari al fisco”.
Roberto Maroni e i suoi, che hanno lanciato la fatwa contro Equitalia & c. magari la pensano diversamente. E non saranno i soli.
Polemiche, che per quanto violente, non riescono però a far breccia nelle ovattate stanze dove ronzano i terminali del Grande fratello. Su di loro vigila una ristrettissima pattuglia di funzionari (sembra non più di tre), gli unici abilitati a visionare le informazioni per compilare le black list di contribuenti a rischio. Quelli che poi si troveranno a rispondere agli ispettori del fisco.