A Milano una coppia con due figli ha una spesa media mensile di 2.333,7, mentre a Napoli la stessa famiglia consuma in media 1.685,73 euro al mese. A certificare le cosiddette gabbie salariali italiane, cioè le differenze nei costi dei consumi medi a livello territoriale, è lo stesso ministero dell’Economia e delle Finanze con il nuovo Redditometro.
Per carità, nulla di nuovo o di stravolgente perché il governo ha certificato quanto da anni tutti sanno: i redditi mensili nelle diverse parti della Penisola non possono essere omogenei perché diverso, molto diverso, è il costo della vita.
Sarebbe ora logico, almeno in un Paese normale, procedere nella direzione più razionale implicita nei numeri dell’Istat e del Redditometro e superare la logica dei contratti nazionali di lavoro che pretendono che un insegnante che vive e lavora a Milano debba e possa guadagnare uno stipendio mensile eguale a quello di uno che vive e lavora a Napoli o anche a Roma (dove la famiglia tipo Istat/ministero Economia spende al mese 1.894,7 euro, ndr.).
Da questa prospettiva, la novità del Redditometro è senza dubbio positiva, perché cala sul tavolo di una discussione novecentesca nella quale le forze sindacali provano a difendere cioè che non è più difendibile, cioè uno standard salariale medio nazionale, pur in presenza di profonde differenze nel costo della vita territoriale e anche nella produttività specifica. Queste cifre sono certificate direttamente dallo Stato e assunte come strumento per rideterminare induttivamente, addirittura con l’inversione dell’onere della prova per il contribuente, il reddito lordo annuo del singolo nucleo familiare.
*Twitter@EdoNarduzzi
(sintesi di un commento più articolato apparso sul quotidiano Italia Oggi)