Il fenomeno di lievitazione dei debiti pubblici, che ha segnato le vicende finanziarie globali a partire soprattutto dalla crisi del 2008, è in fase di rallentamento ma ci vorrà ancora tempo prima che si fermi del tutto e cominci a essere assorbito significativamente. Questo ultimo aspetto è particolarmente rilevante per l’Italia, perché può aiutare a dare una cornice diversa ad alcuni fenomeni senza per questo ridurre o minimizzare la necessità del rientro del debito e risanamento delle finanze pubbliche. Ancora oggi è opinione diffusa (assioma) che l’Italia abbia non solo un livello di debito pubblico in rapporto al Pil elevato (verificato) ma che sia il terzo emittente al mondo di debito pubblico dopo Usa e Giappone (da verificare).
Prendendo i dati a giugno 2012 della Banca dei Regolamenti Internazionali (quella che stabilisce le regole per la solvibilità e solidità delle banche): si scopre che l’ultima affermazione è errata, essendo l’Italia il quinto emittente di debito pubblico dopo Usa, Giappone, Germania e Regno Unito e poco sopra la Francia. Questa posizione è recente ma si è formata nel tempo non per virtù italiana ma per vizio altrui; già alla fine degli anni ‘90 il peso relativo dell’Italia stava calando sotto il 10% durante una generalizzata discesa ma è a partire dal 2008 che gli altri debiti salgono velocemente.
Il dato singolare è che il valore è oggi ai minimi storici, poco sopra il 5% del totale delle emissioni globali governative; se si vuole, il raggiungimento di una posizione relativa migliore (ricordiamo, in termini assoluti ma non in rapporto al Pil) ha bisogno di essere consolidata e può essere un buon punto di partenza per una minor pressione in termini di spread e a condizione del proseguimento del percorso di rigore.