La guerra in Mali rischia di essere solo il primo capitolo della nuova guerra al terrorismo internazionale. Ma più che al nuovo rifugio dei jihadisti nel cuore dell’Africa, le cancellerie internazionali sembrano più preoccupate di un’altra guerra. Quella delle monete. Al forum di Davos, ritrovo prediletto del gotha dell’economia e della politica mondiale, praticamente non si parla d’altro. Il conflitto tra valute è in atto da tempo, ma è stato ufficializzato solo pochi giorni fa con le parole del premier giapponese. Shinzo Abe ha spinto la banca centrale nipponica ad annunciare misure di allentamento quantitativo illimitate entro il 2014 con l’obiettivo di giungere a un tasso di inflazione del 2 per cento. Più o meno, è la stessa cosa che hanno fatto le principale banche centrali del mondo. La parola d’ordine è tornata a essere “svalutazione”. Dagli Stati Uniti, all’Unione europea, passando per il Brasile. L’economia mondiale continua a preoccupare. “Nel giro degli ultimi due anni, la fiducia in una grande ripresa economica si è dissolta, gli interessi nazionali hanno cominciato a divergere. La collaborazione tra le banche centrali è ormai quasi soltanto di facciata ed è stata sostituita da una competizione per svalutare al massimo la propria moneta, portar via agli altri Paesi, grazie al basso cambio, quote del mercato internazionale e rilanciare così la propria economia, senza curarsi dell’interesse collettivo alla crescita”, ha scritto Mario Deaglio sulla Stampa dello scorso 24 gennaio. Tutti hanno paura di non riuscire più a piazzare le proprie merci su mercati internazionali paralizzati da un fitta rete di dazi e limitazioni al commercio. La priorità di tutte le principali economia del mondo è quella di continuare a vendere, magari attraverso vantaggiosi accordi commerciali. Ad essere più avanti di tutti sono gli Stati Uniti. Gli americani hanno sempre utilizzato il cambio debole del dollaro per rendere più competitive le proprie esportazioni. Adesso non basta più. Il biglietto verde continua ad essere il cardine del sistema monetario ma può essere sostituito dall’euro (e solo in piccolissima parte dalla yuan cinese). Washington, però, si muove anche in un’altra direzione. Da anni gli americani stanno lavorando a un accordo commerciale di nuova generazione TPP (Trans-Pacific Partnership), una rete di accordi bilaterali e plurilaterali per facilitare gli scambi commerciali, nella zona più dinamica dell’economia mondiale, l’area dell’Oceano Pacifico. La TPP potrebbe diventare la più grande area di libero scambio a livello mondiale ma ha anche un’altra importantissima funzione. E’ un arma fondamentale per contenere l’espansionismo commerciale della Cina in tutta la regione.
Si combatte in Asia la nuova guerra dei cambi
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