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Su le tasse durante la crisi? Una manovra da far perdere la testa

Tenendo conto dell’effetto combinato causato dalle politiche restrittive attuate in contemporanea anche in altri Paesi, c’è stato un abbattimento medio del tasso atteso di variazione del reddito rispetto alle stime, dell’1,65% per ogni punto percentuale di incremento del carico fiscale (ref IMF studio citato WP/13/1: “a joint 1 percent of GDP fiscal consolidation by the domestic economy and by its partners (weighted by the share of exports in GDP) would lead to a domestic output loss of 1.652 percent, relative to forecast”). Questo dato esprime la media di tali errori calcolata su un gruppo di un gruppo di Paesi che vanno dalla Germania, alla Svezia, dall’Italia, alla Grecia, ma è evidente che gli effetti siano stati diversi da Paese a Paese, con punte negative che hanno toccato rispetto alle previsioni il picco massimo di errore del 5% per la Grecia.

Va anche ricordato che il cosiddetto “consolidamento fiscale” ha avuto luogo a seguire la crisi finanziaria esplosa nell’Agosto 2007 e che raggiunse l’apice nel Settembre 2008 con il fallimento della Lehman. Crisi finanziaria tuttora non risolta perché come ci dice uno studio di Claudio Borio Vice Capo del Dipartimento Economico e Monetario e Direttore dell’Ufficio Ricerche e Statistiche della Banca dei Regolamenti Internazionali (BIS) il ciclo finanziario, storicamente e ancor più ora, subisce un andamento temporale molto più lungo del ciclo economico (dura cioè molto più a lungo sia in salita ma soprattutto in discesa); non può pertanto più essere ignorato ma va rivalutato come strumento di analisi anche a fini macroeconomici, come lo era in epoca vittoriana salvo poi perdere gradualmente di importanza per i policy makers.

Il ciclo finanziario è inoltre aggravato dal fatto di essere molto influenzato da una percezione del rischio molto spesso disancorata dalla realtà (valutazione del rischio dormiente quando ci sarebbe da dare l’allarme e eccessivamente allarmista quando la realtà sottostante non giustificherebbe una stima del rischio così elevata); la dissennata corsa all’aumento del debito pubblico in presenza di prolungati periodi di bassi spread e di bassa percezione del rischio ha così creato condizioni di insostenibilità del quadro macroeconomico salvo poi pagarne le conseguenze a crisi esplosa con spread improvvisamente altissimi.

Ciò che lo studio della Banca dei Regolamenti Internazionali (che è un pò la banca delle banche) inoltre dice è che non si può più ignorare la circostanza che in una economia in cui gli intermediari finanziari non si limitano ad allocare risorse reali trasferendo liquidità da chi la ha in eccesso (depositanti) ai prenditori (contraenti il credito) ma genera essa stessa potere di acquisto ex nihilo (ossia dal nulla) inventando strumenti finanziari a piramide rovesciata – in una tale economia dicevamo – il ciclo finanziario non può più essere considerato come componente neutrale rispetto al ciclo macroeconomico e pertanto – aggiungiamo noi – anche ogni iniziativa di politica fiscale andrebbe soppesata alla luce del ciclo finanziario e non essere assunta come indipendente da esso. Aumentare in modo troppo repentino e massiccio il prelievo fiscale quando il credito non affluisce alle famiglie e alle imprese perché il ciclo finanziario è fermo, è come agire sulla leva di un aereo di notte senza avere ben calibrati gli strumenti di bordo che danno l’altitudine del velivolo: si rischia di credere di essere a 4.000 metri quando si vola molto più in basso a 400 metri.

Sintesi di un articolo completo che si può leggere qui.

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