Numerosi economisti, e politici della “ex-strana maggioranza”, esprimono stupore (come l’Ofelia di un nota, e scurrile, barzelletta emiliana) alla lettura delle pagine del Bollettino della Banca d’Italia a proposito della finanza pubblica. Non mi sono sorpreso perché ne conoscevo già i contenuti e li avevo anticipati su Formiche del 30 dicembre scorso. Non perché abbia improprio accesso alle stanze di Palazzo Koch o perché abbia dote divinatorie o perché, come un ex-Presidente del Consiglio in odore di ascesa al Quirinale, frequenti medium e fattucchiere.
I calcoli pubblicati da Formiche il 30 dicembre hanno la stessa fonte di quelli della Banca d’Italia: le previsioni del consensus dei venti maggiori istituti internazionali di analisi macro-econometrica. Il servizio studi li confronta con quelli del proprio modello econometrico Più modestamente, da artigiano, mi collego all’Oxford Econometrics ed ho inserito alcuni dati.
I risultati dell’analisi professionale del servizio studi di Via Nazionale e del mio lavoro artigianale sono pressoché identici: nel 2013 non si raggiungerà alcun pareggio di bilancio; per tentare di avvicinarvisi occorre una manovra primaverile che secondo i calcoli che si evincono dal Bollettino dovrebbe essere di 7 miliardi di euro e secondo i miei di 10.
In ambedue le ipotesi, la manovra dovrebbe essere effettuata in aprile (appena il nuovo governo è insediato) sempre che si voglia rispettare l’obiettivo del pareggio di bilancio nel 2013. Quanto più tardi la si mette in atto, tanto più salato sarà il conto: se si aspetta l’assestamento di bilancio estivo, i miei computi artigianali giungono ad almeno 13 miliardi.
In breve, nonostante le lacrime e sangue del “SalvaItalia”, lo spettro del nuovo redditometro e dei nuovi strumenti per la tracciabilità dei flussi finanziari, siamo semplicemente alla cronaca di un “buco annunciato”. Un “buco” tanto più facile da prevedere perché, come ricorda oggi stesso su questa testata Gustavo Piga, le politiche e le strategie di “austerità” hanno risolto problemi di finanza pubblica unicamente se coniugate con efficaci politiche e strategie di crescita. Chi non credesse a Piga, legga Anatomy of a Fiscal Débacle: the Case of Purtugal (ISEG Economonics Worling Paper No. 1/2013/DE/UECE) di Antonio Afonso dell’Università Tecnica di Lisbona. Il lavoro documenta come la politica e la strategia adottate dal Portogallo, seguendo meticolosamente le indicazioni della Commissione europea (Ce) e della Banca centrale europea (Bce) hanno portato non soltanto a disavanzi sempre maggiori ma ad una crisi costituzionale poiché il Capo dello Stato si è rivolto alla Corte Suprema per sapere se firmare o meno una Legge di Stabilità predisposta da Parlamento e Governo (del suo stesso colore politico) che a suo avviso avrebbe aggravato la povertà e non intaccato debito ed indebitamento.
Adesso, però, che il “buco” annunciato non è solamente l’esito di un lavoro artigiano ma degli studi della Banca d’Italia, si pongono due problemi: a) nel brevissimo termine, che effetti avrà sulla campagna elettorale; b) nel breve termine, cosa dovrà (e potrà) pare il prossimo Governo, quale che sia la sua composizione.
Nel brevissimo termine, si cercherà di non parlarne perché erano in molti nella “strana” maggioranza che sosteneva il Governo dei tecnici. Il problema verrà sollevato da chi sfida l’Esecutivo “tecnico” per mostrarne la scarsa competenza, anche sotto il profilo professionale. E non sarà facile dare una risposta. Non si può accusare “il destino cinico e baro”. Si dovrebbe avere il coraggio di dire che si è sbagliato sotto due profili: a) uno politico (non avere effettuato le liberalizzazioni, le dismissioni e le privatizzazioni essenziali alla crescita) e b) uno tecnico – avere seguito quel metodo del budget targeting (darsi obiettivi severi di bilancio nell’ipotesi che “l’intendenza seguirà”) che Peter Drucker ha screditato sessanta anni fa. Ma – lo sappiamo – il coraggio non se lo può dare chi non ce l’ha. Specialmente in campagna elettorale.
Nel breve termine (da aprile mancano poche settimane), ci si dovrà chiedere se continuare sulla strada del passato. Nell’ultimo numero di Contemporary Economics (Vol. 6 No.4 pp.10-18) Assaf Razin dell’Università di Tel Aviv e Stevens Rosefielde dell’Università della Carolina nel Nord (in quel meraviglioso luogo che è Chapel Hill, dove ho tanti ricordi di gioventù) – due economisti non europei e, quindi, distinti e distanti dalle nostre beghe, si chiedono: “Cosa fa davvero male all’eurozona?”. E rispondono: “Una Fallace Architettura Sopranazionale”. Il saggio merita di essere meditato da chi avrà responsabilità di governo: se non operiamo per la crescita e, in parallelo, per cambiare il disegno dell’eurozona siamo condannati ai “buchi” annunciati, all’impoverimento, al marasma sociale e civile.