Due notizie che ormai non lo sono neanche più. Ieri il presidente delle Fed Bernanke ha ripetuto di non aver nessuna intenzione di abbandonare le misure non convenzionali adottate per sostenere la ripresa americana, aggiungendo che “c’è molto da fare”. Evidentemente gli 85 miliardi di dollari al mese (fra acquisto di obbligazioni garantite dal mattone e di bond pubblici) che la Fed garantisce al sistema finanziario Usa non bastano. Il cavallo americano dovrà bere almeno fino a quando la disoccupazione non scenderà.
La seconda notizia riguarda il Giappone. La banca centrale ha ripetuto che continuerà a perseguire una politica “aggressiva”, visto che export e produzioni industriale sono in calo e il nuovo premier Abe ha annunciato armi non convenzionali contro l’annosa deflazione, fra stimoli fiscali e target inflazionistici da raggiungere. Peraltro la BoJ ha anche tagliato le stime di crescita per otto delle nove regioni economiche monitorate. Il somaro giapponese dovrà convincersi a diventare un cavallo a suon di sganassoni monetari.
Due non notizie, quindi, che hanno soltanto lo scopo di mandare chiari segnali agli investitori. Infatti in America il mercato immobiliare è in crescita per la prima volta dal 2008 (+6,6% in Florida nel 2012) e si torna a riparlare di imminente boom di borsa. Quanto al Giappone lo Yen ha toccato il minimo sull’oro dal 1980. Questo tanto per dire che le parole hanno sempre conseguenze.
La terza notizia è arrivata dall’Ocse. Nell’ultimo quarto del 2012 il Pil dell’area è cresciuto dello 0,3%, trainato per due terzi dai consumi privati, e per un terzo dalle esportazioni. Con una importante notazione: i campioni dell’export sono Francia, Germania, Italia e Gran Bretagna; i campioni dei consumi, sia pubblici che privati, sono gli americani. In Giappone sono crollati sia i consumi che l’export. All’interno dei paesi europei considerati, si segnala la buona performance dell’export italiano (+0,6 punti), la migliore fra i paesi europei in termini percentuali, del tutto oscurata dal crollo dei consumi (-0,6 punti). Siamo una via di mezzo fra la Germania (per l’export) e il Giappone (per i consumi interni).
Ma un po’ tutti gli stati europei hanno un passo simile. Con l’eccezione della Gran Bretagna, “rappresentante” europea della politica espansiva giappo-americana. La GB ha avuto un incremento dei consumi privati assimilabile a quello americano, e lo stesso vale per la spesa pubblica. La Germania ha visto un leggero aumento dei consumi privati (da 0,1 a 0,2 punti fra il secondo e il terzo quarto), mentre la spesa pubblica ha fornito un modesto 0,1 (dopo lo 0 del secondo quarto). In Francia i consumi privati sono cresciuti di 0,1 punti e la spesa pubblica altrettanto. In Italia, al crollo dei consumi privati (-0,6) si è aggiunto il calo della spesa pubblica (-0,1). L’immagine complessiva che viene fuori dall’Europa (continentale) è quella di orso in letargo che aspetta la primavera e intanto consuma il grasso in eccesso o mangiuncchia quello che trova (l’export).
Il problema è che la primavera in Europa, continuando così, sorgerà solo quando spunterà l’estate in America, visto l’andamento dei consumi privati e della spesa pubblica.
I giapponesi invece hanno già detto che serviranno almeno tre anni per battere la deflazione. D’altronde la loro economia è basata sull’export, e l’Europa si avvia pericolosamente a somigliarle, dovendo peraltro competere con la tigre cinese, il quarto animale della nostra storiella di cui ci occuperemo un’altra volta.
Può farcela il cavallo americano, abbondantemente abbeverato dalla Fed, a trainare la carretta del mondo ancora una volta, o rischia di finire schiantato (per non dire annegato) dalla troppa liquidità? Negli anni ’90 abbiamo già visto il cavallo giapponese diventare un somaro. Cosa impedisce agli Usa di fare la stessa fine? La risposta a questa domanda scomoda categorie che appartengono alla politica, più che all’economia, le cui cosiddette leggi hanno un grado di elasticità direttamente proporzionale al potere dei soggetti ai quali si rivolgono.
Il futuro è quantomai incerto anche per i giapponesi. In un recente report S&P ha riconosciuto che il processo reflazionario è partito in Giappone (reflazione=moderata nuova inflazione successiva alla deflazione innescata dalla iniezione di una maggior quantità di moneta), ma sul paese gravano notevoli ostacoli. A cominciare dall’esorbitante debito pubblico e dai problemi di export. Il somaro giapponese, gravato da debito pubblico e avanzo commerciale in calo, rischia di schiantarsi ancor prima di muovere un passo se produzione industriale e consumi interni non ripartono. Per questo il governo ha varato misure di stimolo. Ma fra i motivi di scetticismo di S&P c’è anche la circostanza che il Giappone c’è già passato, senza successo, da politiche reflazionistiche, lungo i primi anni 2000.
L’orso europeo intanto si gode il suo letargo, appena infastidito dai rumori delle folle di cittadini del sud Europa infuriati. La bufera valutaria innescata da Giappone e Usa per il momento non lo inquieta (l’euro è ancora lontano dai massimi di 1,46 sul dollaro di un anno fa) e ha ancora abbastanza grasso addosso da predicare l’austerità (la contrazione tedesca di fine 2012 non preoccupa finora la Germania).
Il retropensiero è che il lavoro sporco (inflazionare il debito e, in generale, i vari mercati, dai titoli alle commodity) lo faranno gli altri.