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Un decalogo green per i comunicatori politici

C’è e ci sarà la crisi economica nell’agenda e nella comunicazione politica delle prossime settimane che ci accompagneranno al voto anticipato del 24 febbraio. Tutti i protagonisti in campo si sfideranno a colpi di ricette, alcuni in continuità con l’agenda Monti, altri con l’ambizione (non si sa quanto fondata) di superarla e renderla più accettabile al “popolo sovrano” (che poi è “sovrano” solo quando è chiamato alle urne, mentre lo è stato molto meno nel corso dell’anno parlamentare passato nell’inutile attesa di una nuova legge elettorale…).

C’è però un’altra crisi che non entra e, c’è da scommetterlo, non entrerà nell’agenda e nella comunicazione politica da qui alle elezioni: è la crisi ambientale. Lo stato di salute del pianeta peggiora assai più velocemente rispetto alle previsioni già preoccupanti formulate dalla comunità scientifica negli anni passati: la crosta ghiacciata della Groenlandia, i ghiacci nell’Artico e numerosi ghiacciai in Europa si stanno sciogliendo, le superfici innevate sono diminuite e il permafrost si è riscaldato. Gli eventi climatici estremi degli ultimi anni, quali ondate di caldo, alluvioni e siccità, hanno causato (anche in Europa) un aumento dei costi legati ai danni subiti. E in tutto ciò la crescita dell’attività umana nelle aree a rischio si sta rivelando un fattore decisivo.
Beh, si dirà, questi dati non fanno altro che certificare come il problema sia globale e come l’Italia possa fare ben poco se non si muove la comunità internazionale nel suo insieme. Riflessione solo in apparenza plausibile, in realtà profondamente miope.
Compito del comunicatore è rendere tangibile le ragioni di questa distorsione. Qui un decalogo che riassume tutte le ragioni per cui converrebbe iniziare a introdurre argomentazioni legate all’ambiente e alla sostenibilità nella comunicazione politica:

1. gli effetti del Global Warming non sono spalmati nella medesima misura su tutto il pianeta. E l’Italia, come tutta la fascia dell’Europa mediterranea, è in una posizione particolarmente critica;

2. la cronica e colpevole assenza di politiche ambientali contro il dissesto idrogeologico del Paese ci porta a pagare (nel vero senso del termine) dazi pesantissimi ad ogni evento atmosferico estremo. Anzi, in realtà, da noi sono sufficienti eventi alluvionali di normale intensità per provocare enormi danni;

3. la normativa e le direttive comunitarie diventano sempre più stringenti e i Paesi membri che non si adeguano sono costretti a pagare salatissime penali (ammontano a 280 milioni di euro le multe solo per il settore dei rifiuti che l’Italia rischia di pagare);

4. il rovescio della medaglia della crisi ambientale è l’ opportunità di creare nuovi posti di lavoro e nuove economie nel settore trasversale della sostenibilità ambientale. E non è forse questa un’ottima carta da calare in un Paese che ha fame di lavoro e in un contesto caratterizzato dalla crisi strutturale dei settori tradizionali, sempre più bisognosi di innovazione per recuperare competitività?

5. l’attenzione e la sensibilità ambientale sembrano essere valori in netta crescita nella popolazione italiana e il mondo delle imprese si muove già da tempo per cogliere queste opportunità di adesione ai rispetto ambientale da parte dei cittadini/consumatori;

6. specularmente al punto precedente, il confine tra attenzione all’ambiente e il pregiudizio verso tutto ciò che è costruito, che sia un ponte, un impianto di trattamento dei rifiuti o un elettrodotto, è assai labile. Da qui la necessità di “dare certezza” (o almeno uno straccio di direzione) a chi intende investire sullo sviluppo tecnologico, infrastrutturale e ambientale del Paese;

7. la situazione descritta nei punti precedenti ha trascinato negli ultimi anni la classe dirigente nazionale e locale del Paese in mezzo ai conflitti ambientali, dove l’Ilva è soltanto la punta di un iceberg che si è innalzato nel tempo mentre i capitani della nave “Italia” che si sono succeduti nella prima e seconda Repubblica preferivano navigare a vista e non decidere;

8. la dimensione ambientale contiene valori simbolici positivi per l’opinione pubblica che costituiscono una potenziale opportunità tutta da cogliere, basterebbe fare tesoro dell’esperienza dei Verdi e imparare dagli errori commessi (a partire da una comunicazione tutta negativa e allarmistica);

9. la fascia più giovane della popolazione stenta ad avvicinarsi alla politica e a trovare rappresentazione nell’attuale panorama politico (persino le tappe del tour del leader della “rottamazione”, Matteo Renzi, vedevano una netta prevalenza di persone anziane…). Ma diverse indagini dimostrano come i giovani siano invece interessati alle tematiche e ai progetti in campo ambientale. Da non sottovalutare, tra l’altro, la presenza di 193 corsi universitari sull’economia verde nel nostro Paese;

10. la tutela e la sostenibilità ambientale sono strettamente collegati ad altri due settori non proprio irrilevanti per l’Italia: l’agricoltura e il turismo. Per chi vive di agricoltura la filiera sostenibile e le produzioni di qualità possono rappresentare un nuovo orizzonte per rispondere alle rinnovate richieste del mercato (già oggi, con ben 49.000 aziende biologiche, l’Italia è sul podio più alto in Europa), mentre l’ecoturismo diventa l’arma ideale per valorizzare le tipicità delle comunità locali, le meraviglie naturali ed archeologiche e l’eccellenza enogastronomica.

Per concludere, come sostenuto nel recente rapporto di Enea e Fondazione Sviluppo Sostenibile, la green economy è già oggi una realtà viva ma ha bisogno di un quadro strategico nazionale. Il governo tecnico e in particolare il Ministro dell’Ambiente Clini hanno avuto il merito di aver riportato nell’agenda nazionale il tema ambientale. Vedremo se il ritorno della politica saprà prendere al volo il testimone. Ma già le prossime settimane di campagna elettorale ci permetteranno di capirlo…

Sergio Vazzoler
senior partner – Amapola Srl
Coordinatore nazionale FERPi Ambiente

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