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Benedetto XVI e i giovani

Si è svolta in Vaticano, dal 6 al 9 febbraio, l’Assemblea Plenaria del Pontificio Consiglio per la Cultura. Un incontro, quello organizzato dal “dicastero” vaticano guidato dal cardinale Gianfranco Ravasi, interamente dedicato al ruolo dei giovani nella Chiesa, più precisamente alle “Culture giovanili emergenti” e che ha visto la partecipazione di più di sessanta esponenti del mondo ecclesiale e della società civile provenienti da tutto il mondo. Quattro giorni, dunque, dedicati ai giovani ed ai cambiamenti sociali del XXI secolo che stanno “sconvolgendo” il mondo giovanile. L’Assemblea Plenaria si è conclusa il 9 febbraio con l’adozione di alcune conclusioni che rendono l’idea di come la Chiesa abbia finalmente compreso l’importanza dei giovani al suo interno. Una Chiesa, quindi, che decide di scommettere sui giovani.

L’incontro con Benedetto XVI
I lavori dell’Assemblea non potevano non cominciare sotto gli auspici di Benedetto XVI, un Papa che ha messo da sempre i giovani al centro del proprio pontificato e che oggi ha annunciato a sorpresa di dimettersi.

Giovedì 7 febbraio Benedetto XVI ha incontrato i membri del Pontificio Consiglio della Cultura affermando che “se i giovani non sperassero e non progredissero più, se non inserissero nelle dinamiche storiche la loro energia, la loro vitalità, la loro capacità di anticipare il futuro, ci ritroveremmo un’umanità ripiegata su se stessa, priva di fiducia e di uno sguardo positivo verso il domani”. I giovani, quindi, secondo Papa Benedetto XVI, non devono perdere la fiducia nel futuro e in sé stessi, altrimenti la società non avrà un futuro. Benedetto XVI, inoltre, come fatto già in diverse occasioni, si è soffermato sulle difficoltà dei giovani in cerca di lavoro, senza dimenticarsi, però, di evidenziare aspetti positivi quali quelli dei “giovani volontari che dedicano ai bisognosi le loro migliori energie” e le “esperienze di fede di tanti ragazzi e ragazze che con gioia testimoniano la loro appartenenza alla Chiesa”.

La presentazione di Ravasi
“La vertigine non è paura di cadere ma voglia di volare mi fido di te cosa sei disposto a perdere”. Dopo aver ammesso di ascoltare Amy Winehouse pur di comprendere meglio i giovani, il cardinale Ravasi non finisce di stupire. Tra gli ultimi tweet del porporato alla guida del dicastero vaticano della cultura non manca, infatti, una frase molto significativa estratta da una delle più belle canzoni di Jovanotti, “Mi fido di te”. Ed è soprattutto dalle parole del cardinale Ravasi che è possibile cogliere il significato profondo di queste giornate dedicate ai giovani. Nel corso di una conferenza stampa, infatti, Ravasi ha affermato che i giovani “sono individualisti, eppure seguono le mode di massa. Sono vitali ma, al tempo stesso, si bruciano nel vuoto. Sono sconnessi con il mondo, con l’esterno della società, della politica, eppure sono i più connessi in assoluto con la comunicazione”. Tante contraddizioni, quindi, che caratterizzano il mondo giovanile e che richiedono di essere studiate, e soprattutto capite, perché i giovani sono, per la Chiesa, non solo il presente ma anche il futuro.

L’editoriale di Padre Lombardi
Non è un caso, dunque, se l’editoriale settimanale di padre Lombardi, direttore della Sala Stampa della Santa Sede, per il giornale informativo del Centro Televisivo Vaticano (CTV) ha avuto come oggetto il mondo giovanile. Padre Lombardi, infatti, ha ammesso le difficoltà che la Chiesa incontra nel tentativo di comprendere i giovani, in quanto l’orizzonte è sempre più frammentato e in veloce evoluzione. Una difficoltà che, per padre Lombardi, giustifica l’urgenza di una riflessione sulle culture giovanile così come è avvenuto in seno all’Assemblea Plenaria del Pontificio Consiglio per la Cultura dal momento che è necessario uno “sforzo” per intercettare le domande, le esigenze profonde e “dare loro le nostre risposte con un linguaggio ed un approccio capaci di arrivare sino ai giovani”. Ed è per questo motivo che, secondo padre Lombardi, “non basta riflettere perché con i giovani bisogna starci”.

Padre Spadaro e i nativi digitali
L’intervento di padre Spadaro era, come spesso avviene quando il gesuita è invitato a convegni e conferenze, forse il più atteso. A Spadaro, esperto di mezzi di comunicazione e curatore del seguitissimo blog “Cyberteologia”, il compito di parlare di “nativi digitali: linguaggio e rituali”. Un argomento di grande attualità tanto che Giovanni Maria Vian, direttore dell’Osservatore Romano, nel corso di un’intervista con il nostro giornale, ha riconosciuto come oggi manchi alla Chiesa una generazione di “nativi digitali”. Nel corso del suo intervento, padre Spadaro ha evidenziato come la rete e la cultura del cyberspazio pongano nuove sfide alla nostra abilità di plasmare riti e di formulare ed ascoltare un linguaggio simbolico che parli della possibilità e dei segni di trascendenza della nostra vita. Secondo Spadaro, poi, è necessario identificare alcune questioni chiave considerando, in modo particolare, l’uso di alcune “apps” che sempre di più hanno un impatto sul nostro modo di agire, di vedere e di comprendere il mondo. Ma, dice padre Spadaro, forse è anche giunto il tempo di considerare la spiritualità come una forma di “hacking” interiore, qualcosa che rompe il sistema chiuso della nostra vita per aprirlo alla ricerca di un significato.
Le conclusioni dell’Assemblea
Con la presentazione di un documento ricco di numerose indicazioni si è conclusa l’Assemblea Plenaria del Pontificio Consiglio per la Cultura che si svolge ogni anno in Vaticano. All’interno del testo l’importante ruolo svolto dai giovani, considerati come “una cassa di risonanza della crisi della società e quindi la comprensione include la dimensione culturale, insieme alla visione economica e strutturale”. In tal senso, quindi, secondo le conclusioni, deve essere letto “il fenomeno degli indignados che esprime da un lato il disincanto e la stanchezza delle giovani generazioni di fronte al sistema, le trasformazioni radicali nel modo di concepire il leaderismo e, dall’altra, mette in questione le vecchie prassi politiche e il modo abituale di trasmettere la fede”. E non manca, ovviamente, anche un po’ di autocritica “I giovani – si legge nel documento – tante volte non capiscono il linguaggio della Chiesa e la Chiesa non capisce il linguaggio dei giovani “.

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