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Perché la macchina welfarista di Bersani è finita nel burrone del voto

Grazie all’autorizzazione dell’editore e dell’autore, pubblichiamo il commento di Edoardo Narduzzi apparso sul numero odierno del quotidiano Italia Oggi diretto da Pierluigi Magnaschi.

Pier Luigi Bersani ha portato il Pd al suo minimo storico, il 25,4% e ha di fatto perso delle elezioni che soltanto qualche mese fa sembravano già decise in suo favore. Il voto della maggioranza degli italiani è stato, dunque, netto e incontrovertibile: ha bocciato la piattaforma di politica economica della coalizione. Quella bollinata dal responsabile economico del Pd, in quota Cgil, e superbollinata dall’endorsement di Susanna Camusso, leader dello stesso sindacato, e consacrata con sigillo notarile dal neocomunista Nichi Vendola. Sconfitta in qualche modo prevedibile visto che, in Europa, nelle varie elezioni post crisi i partiti moderati, tranne in Francia, hanno sempre vinto. Segno evidente che le piattaforme welfariste novecentesche con tante tasse, troppa spesa pubblica e pochi tagli ai costi della p.a., troppo favore, tra gli elettori, non lo incontrano.

Ma Bersani pensava di essere Hollande e di poter imporre al Paese con la più elevata pressione fiscale dell’eurozona, il 45,3% sul Pil, nuove tasse e nuove assunzioni nel pubblico impiego. Le lezioni del voto in Spagna, Irlanda, Portogallo e Grecia non avevano insegnato nulla al candidato premier del centrosinistra che ha, invece, portato avanti la sua gioiosa macchina welfarista verso il burrone del voto. Una rottamazione in pieno stile che ha l’indubbio merito di aver fatto uscire dall’agenda politica italiana contemporanea tali politiche del secolo che fu.

Perché l’offerta politica tradizionalmente messa in campo dalla sinistra non ha riscosso consenso? Perché l’Europa, tramite i suoi elettori, da ultimi anche quelli italiani, ha preso atto che la sua costruzione sociale nel mondo globale non è difendibile senza profonde riforme. E la presa di coscienza sul punto è generalizzata, come conferma lo storico rinnovo di mandato in Svezia al premier conservatore impegnato su un programma di riduzione fiscale e di riforme e tagli del welfare e della spesa pubblica. E come conferma anche il voto britannico al conservatore David Cameron promotore della Big Society, fautore della privatizzazione di parte del welfare.

Del resto, lo stato sociale europeo avrà molti pregi ma produce un contesto nel quale il grado di innovazione e di crescita è ridotto, necessita di una fiscalità robusta per essere finanziato e, soprattutto, è molto difficile da esportare. Piace molto agli europei, ma molto meno fuori dall’Europa. Eppoi, la maggioranza degli elettori è molto più spaventata da un incremento della pressione fiscale di quanto non possa essere conquistata dai vantaggi di una ampliata spesa pubblica. Tutto ciò aiuta a spiegare perché le tradizionali piattaforme welfariste della sinistra europea vanno incontro, come hanno ribadito le elezioni italiane, ad una sconfitta elettorale dopo l’altra, quasi senza soluzione di continuità.


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