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Perché i cattolici non contano

Andiamo alle urne senza passione e molta mestizia. L’offerta dei candidati è sconfinata, quasi mai spiegata e con motivazioni che siano dignitose e credibili. Ma la politica non c’è più. Né la si può rintracciare in questo o quel passo discorsivo di esponenti di antico o recente conio impegnati a cercare consensi alle loro persone, non a idee che obbiettivamente non esprimono.

La caratteristica di questa consultazione non è tanto data dalla presenza del dissacrante grillismo o di un montismo che ha bisogno di giustificazioni straniere per spiegare cosa vorrebbe essere. La caratteristica è che si va a votare mentre imperversa una crisi economica che ci riguarda tutti mentre la nostra sovranità è appesa ai giudizi del Financial Times o di Angela Merkel, ma è rimessa al di là dei confini patri in attesa di un miracolo che ci possa fare tornare padroni di noi stessi.
Comunque gli italiani vorranno votare, da lunedì nulla sarà più come prima. E comunque vadano le sorti del popolo dei candidati, dovremo, tutti, rimboccarci le maniche per ricostruire libertà, democrazia e sovranità, ormai vacillanti.

A dare un’occhiata alle lenzuolate che recano impressi i simboli delle liste, è tutto un invocare la “società civile”, quasi si trattasse di una realtà sin qui ignorata e che meriti finalmente di avere voce sufficiente per farsi ascoltare. Ma pochi hanno il pudore di annotare che la “società civile” non sono altri, mai sinora sperimentati. La “società civile” siamo tutti noi, dacché viviamo in democrazia, avendo cognizione di un dato incontestabile: che in maggioranza la presunta insorgente forza nuova è costituita da cattolici, molti dei quali hanno smarrito il senso del civismo cioè della cittadinanza aperta al multiculturalismo, non grettamente rinchiusa in una Città del Sole, che è immagine filosofica e poetica, non una politica che trovi una sintesi fra disuguaglianze incancellabili.

Sono almeno vent’anni che, politicamente ragionando, i cattolici italiani non esistono più. Non perché prima erano uniti e poi, disunitisi, hanno messo in crisi il sistema Italia. È esattamente il contrario: la disunità ha meglio evidenziato la pluralità dei disegni e delle vocazioni in campo cattolico, consentendo di poter scegliere fra più opzioni a seconda della sensibilità e degli interessi civili di ciascuno. De Gasperi non cercò mai l’unità cattolica, bensì il massimo possibile di consensi attorno ad un partito di popolo che voleva costruire e consolidare libertà e democrazia, mentre altri cattolici coltivavano chi un disegno fascista, chi un sogno corporativo di tipo medievale, chi un’opzione filocomunista, chi un’inflessione salazariana, e via discorrendo.

L’insignificanza politica dei cattolici non è data soltanto dalla mancanza di un De Gasperi o di qualcun’altro che almeno alla lontana gli somigli; e neppure dal lungo intervallo dei due papi stranieri, che hanno reso la Chiesa davvero universale e non determinata dall’Austria o dalla Spagna come accadeva in tempi non lontanissimi. C’è senz’altro, in tale insignificanza, un deficit di fede prodotto da un processo di descristianizzazione giunto al punto che l’Europa unita non ha saputo né voluto rammentare le proprie radici giudaico-cristiane. I cattolici non contano non perché sono distribuiti in mille rivoli, tutti guidati con supponenza, ma perché hanno abbandonato la capacità riflessiva, si sono adagiati nel benessere, hanno scambiato la modernità con l’utilità e l’opportunità: perché hanno smarrito il senso del dovere, cioè il rovescio dei diritti; perché non sanno più cosa sia stato il cattolicesimo politico, costato sangue, incomprensioni, scomuniche persino, compensati secoli dopo con beatificazioni; perché sono diventati tutti galli in un pollaio dove prevale il più astuto, non chi ha più sale in zucca e visione d’assieme.

Con queste premesse, io stesso, democristiano dal 1943, non so, questa volta, per chi andrò a votare. Certo non voterò per gli pseudo novisti che pretendono di possedere la rappresentanza della società civile; e neppure mi rifugerò in un voto di astensione, che sarebbe molto logico ma rischia anche di giocare a favore di quanti io, in realtà, disistimo e mi offre irresponsabilmente il nulla cosmico.

Giovanni Di Capua


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