Sapete tutti di Cindia, fortunata crasi giornalistica di Cina e India, ossia la pangea economica a venire destinata a cambiare le sorti del pianeta. Si che lo sapete. Non passa semestre che qualcuno non vi dica che il pendolo del mondo si è spostato a Oriente, nel magico ed esotico mondo delle tigri asiatiche, del dragone cinese e, last but not the least, del pachiderma indiano.
Fedeli alla consegna che ci siamo dati di rimuovere un po’ di mitologia sui Bric e i loro satelliti, siamo andati a vedere le carte, approfittando dell’ultimo staff report sull’India rilasciato dal Fondo monetario internazionale. Un centinaio di pagine che fotografano lo stato generale del subcontinente e che ci auguriamo leggano tutti i seguaci dell’Oriente, se non altro perché sorga in loro il sospetto che l’India che dicono arriverà si basa sugli auspici assai più che sui fondamentali.
Il Fondo esordisce dicendo che l’economia indiana è andata rallentando significativamente dopo la rapida ripresa post crisi del 2008. E le previsioni parlano di crescita col freno a mano tirato anche per i prossimi anni a causa di alcune ragioni interne.
In cifre, il fondo nota che nel 2012 la crescita è stata del 6,5% ( era l’8,4 fra 2010/11 e il 10% nel 2006) e si prevede scenderà al 5,4 quest’anno (l’ufficio statistico indiano proprio oggi ha diminuito stima al 5%) per poi tornare al 6% nel 2013. Ciò a fronte di una produzione industriale crollata dagli 8,2 punti del 2011 ai 2,9 dell’anno scorso.
Nel periodo 2004-2011 la crescita media dell’India era stata dell8,3%, trainata, da bravo Bric, dall’export. Ma tanta fortuna ha generato un aumento della domanda interna di cibo, elettricità, acciaio e trasporti, e in generale di infrastrutture, di fronte alla quale il Paese si è trovato drammaticamente impreparato, come si è visto, nota il Fondo, nel blackout del luglio 2012 che ha spento mezza India.
Servono quindi investimenti robusti per stare al passo dell’India che dovrebbe germinare Cindia. Il problema è che, pure se si riuscisse a far decollare gli investimenti (l’India gareggia con l’Italia per scandali e corruzione), bisognerebbe tenere conto degli ampi deficit fiscali, che ancora affliggono il Paese, e dell’inflazione a due cifre. “Una risposta comune alla bassa crescita – scrive il Fondo – è adottare politiche fiscali controcicliche”, ossia espandere la spesa pubblica. “Ma tali politiche – nota ancora – sono inappropriate per l’India. L’alta inflazione comporta che ci sia solo un piccolo spazio per tagliare i tassi, mentre il deficit fiscale, previsto all’8,7% del Pil nel 2013, mostra che sia prioritario controllare la spesa pubblica piuttosto che espanderla”.
Il quadro macroeconomico, d’altronde, non è semplice. Le esportazioni crescono più delle importazioni (309 mld di dollari previsti nel 2013 a fronte di 499 mld di import) e il saldo corrente della bilancia dei pagamenti è in costante rosso (-78 mld previsto per il 2013 e il 2014). C’è un deficit fiscale (con un debito estero in crescita costante, dal 18,7% del Pil del 2011 al 20,4 e 21,7 dei due anni successivi), l’inflazione è alta, più o meno sopra il 10%, e i bond a dieci anni pagano in media, nel 2012, l’8,2%. Ciò spiega perché il Fondo parli di “vulnerabilità esternea causa del deterioramento della bilancia dei pagamenti”. Questo a fronte di un rapporto debito/Pil intorno al 66%.
Che fare allora? Il Fondo auspica un consolidamento fiscale unito a un controllo dell’inflazione per rafforzare la posizione sull’estero. Allo stesso tempo che si rimuovano gli ostacoli strutturali agli investimenti, affrontando i problemi connessi all’energia (il governo sta pensando di togliere i sussidi ai carburanti) e alle materie prime. Poi servirebbero riforme per l’agricoltura, la scuola, il mercato del lavoro, la sanità, per ridurre i rischi finanziari e promuovere la solidità delle banche pubbliche.
Cercasi India disperatamente.