Il Papa non è sceso dalla croce, ha compiuto un gesto coraggioso e ha lanciato un messaggio positivo, di fronte a un mondo che cambia così velocemente e pone questioni tanto fondamentali per la fede e la Chiesa. Antonio Spadaro, direttore di Civiltà cattolica, la rivista dei gesuiti, entra nel cuore del confronto aperto dalle clamorose (anche se non inattese) dimissioni di Benedetto XVI. L’immagine del dolore di Giovanni Paolo II, l’esibizione mistica del suo corpo sofferente, è stata subito evocata soprattutto dalla parte più conservatrice, la più choccata dalla scelta di Ratzinger. E lo ha detto senza mezzi termini Stanislaw Dziwisz. arcivescovo di Cracovia, segretario di Karol Wojtyla.
Il paragone con Giovanni Paolo II
Dunque, un gesto che divide, o meglio rivela chiaramente le divisioni interne alla Chiesa. A parte la diversità di carattere, di cultura, di attitudine tra Joseph Ratzinger e Karol Wojtyla, quel che è accaduto in questi anni non ha paragone in tempi moderni: le lacerazioni interne, gli scandali come la pedofilia che proprio Ratzinger ha avuto il coraggio di non coprire, i conflitti tra i vertici del Vaticano fino all’episodio del corvo, il maggiordomo del Papa che faceva filtrare le lettere del pontefice, i conflitti di una curia ingovernabile, la sfida mondiale con l’islam.
Il film di Moretti
Dunque, è successo come nel film di Moretti “Habemus papam”? Un uomo inadeguato ad affrontare compiti al di sopra delle sue forze, rinuncia? Le similitudini ci sono, ma Benedetto XVI non è Celestino V. Al contrario, il suo gesto va interpretato come un passaggio del testimone, anche generazionale ma non solo, un testimone legato al magistero papale.
I numeri ratzingeriani del conclave
Nell’affrontare i temi che attraverseranno il conclave (non da vaticanisti né da teologi, ma da osservatori partecipi e consapevoli che il mondo moderno ha bisogno del Papa, come ha scritto il Wall Street Journal) bisogna partire proprio da qui. Benedetto XVI ha ordinato 67 cardinali sui 118 del conclave e si potrebbe dire che c’è oggi una maggioranza ratzingeriana.
L’opinione dei quotidiani stranieri
L’influenza dell’ex Papa, dunque, è indubbia anche se sarà indiretta. Ma ciò non vuol dire che la decisione è in qualche modo predeterminata. Il prossimo Papa sarà conservatore, vaticina il Figaro. Le componenti per così dire progressiste, guidate dall’arcivescovo di Vienna Christoph Schoenborn, del resto, sono in minoranza, ma una distinzione di questo genere appare inadeguata.
I candidati dei due fronti
Se il tema testa la lotta al relativismo, al laicismo scettico, allo scientismo, allora certamente un altro europeo, come monsignor Jean-Louis Pierre Tauran o Angelo Scola (in Italia vicino a Comunione e Liberazione), sono in cima alla lista. Se invece, nel mondo che ha visto l’irrompere dei Paesi in via di sviluppo, si vuole riprendere l’evangelizzazione che ha caratterizzato il magistero di Giovanni Paolo II, oggi che il 42% dei cattolici proviene dall’America latina, il 25% dall’Europa e il 15 dall’Africa, allora il nuovo Papa sarà scelto dal Sud del mondo: il filippino Luis Antonio Tagle, il brasiliano d’origini tedesche Odilo Pedro Scherer, il ghanese Peter Kodwo Appiah Turkson, ministro degli Affari sociali. Un Papa “globale” che in qualche modo fa da cerniera tra i due grandi compiti della Chiesa cattolica, può arrivare senza dubbio dal Nord America, dove la Chiesa è lacerata dallo scandalo della pedofilia, e si è fatto il nome del canadese Marc Oeullet, teologo dogmatico o dell’arcivescovo di New York Timothy Dolan. Inutile elencare i papabili o fare i bookmaker di San Pietro. Certo, inciderà la dinamica degli uomini e dei poteri interni (tra i quali la Curia), ma non bisogna dimenticare che il Vaticano è la più grande multinazionale a tutto campo, e l’unica istituzione abituata a ragionare nel lungo periodo.