La grave recessione che ci affligge da oltre quattro anni non verrà sconfitta dalle pur necessarie riforme, né dall’altrettanto necessario riequilibrio dei conti pubblici. L’Italia ha bisogno di una forte spinta alla domanda interna per uscire da questa recessione. E poiché questo fenomeno è comune a tutta l’Europa, è l’Europa che deve riavviare una crescita della propria domanda interna. L’Europa è un’area economica di oltre 450 milioni di abitanti. È il maggiore e più sofisticato mercato del mondo. Esso è il necessario motore della crescita europea. Pensare a un’Europa che cresce perché trainata dalla domanda della Cina, dell’India o del Brasile, significa non avere un senso della storia. Gli Usa, che da sempre sono un grande mercato interno, crescono o rallentano a causa della loro domanda interna. Non dipendono dalle loro esportazioni.
L’Europa invece non è ancora uscita dalla sindrome dei piccoli Paesi che la compongono. Paesi che hanno avuto nelle esportazioni il motore della loro crescita. Un giusto approccio, finché si resta piccoli e separati. Un approccio sbagliato, se applicato all’Europa nel suo insieme. Poiché una larga parte delle esportazioni europee è diretta verso altri Paesi europei, puntare tutto sulla competitività reciproca è un esercizio a somma zero (o quasi), specie se questa competitività si acquisisce essenzialmente attraverso minori costi di produzione e quindi minori redditi delle famiglie.
Per l’Italia, la ricerca di una maggiore competitività è una necessità, ma non è sufficiente per crescere di più. Occorre anche sostenere una ripresa della domanda interna. Ma, come fare a sostenere la domanda interna se ci troviamo tutti a dover ridurre debiti e disavanzi pubblici? Occorre trovare una via di crescita senza impiegare (troppa) finanza pubblica. La via, a mio avviso, è quella della regolazione intelligente dei nostri mercati (soft regulation) che sappia mobilitare energie e patrimoni dei cittadini verso obiettivi condivisi e utili alla collettività. Nel corso degli ultimi decenni sono state spese molte energie per deregolamentare i nostri mercati. Obiettivo giusto e che ancora deve essere completato. Basti pensare al mercato interno europeo, ancora frammentato da legislazioni e abitudini che, di fatto, limitano la circolazione delle merci e soprattutto dei servizi. Bisogna andare avanti su questa strada, ma nello stesso tempo occorre anche costruire qualche nuova regola che ci faccia crescere: regole che puntino su un deciso miglioramento della qualità della vita e che spingano all’innovazione, fattore che rappresenta il vero motore della crescita nella domanda interna dei Paesi industriali.
Di obiettivi per il miglioramento del nostro benessere ve ne sono diversi e sta alla politica individuare quelli possibili e auspicabili. Ma basti pensare all’ambiente, al consumo di energia, alla salute, all’istruzione per capire che ci sono traguardi da raggiungere per un miglioramento delle nostre condizioni di vita e per un contributo ai problemi dell’umanità.
Fissare degli obiettivi e fare politiche per favorirne il raggiungimento significa mobilitare le risorse del Paese verso obiettivi comuni e individuali. Ad esempio, una norma che imponesse in un arco di tempo determinato, un ammodernamento degli immobili per rifare periodicamente le facciate, per contenere i consumi di energia e per introdurre i nuovi sistemi tecnologici di comunicazione, potrebbe avviare una domanda di tecnologie e di lavori capace di stimolare ricerca e produzioni, avviando un ciclo positivo di crescita e di nuova occupazione.
Un sistema di premi (incentivi) e punizioni (multe) per quanti anticipassero o ritardassero l’adozione di queste soluzioni potrebbe consentire una programmazione delle attività e della domanda. Se la domanda fosse prevedibile, potrebbero nascere nuove imprese, nuove tecnologie, nuove professionalità e nuovi occupati. Ne risulterebbe avviato il meccanismo della crescita. Una crescita virtuosa perché volta a rispondere a esigenze individuali (vivere meglio) e collettive (sicurezza, contenimento dei consumi energetici). Una crescita che si estenderebbe a tutti i settori per i noti processi di trasmissione degli impulsi economici.
Verrebbe così mobilitato il risparmio e il patrimonio dei cittadini per obiettivi di loro interesse individuale e collettivo, che potrebbe costituire la base della crescita della domanda interna, senza un eccessivo peso sulla finanza pubblica. Quest’ultima finirebbe per beneficiare della crescita economica indotta dalle norme.
Il nostro Paese ha vere e proprie emergenze che ha trascurato troppo a lungo. Basti pensare alla messa in sicurezza delle nostre città, alla manutenzione dei centri storici, al risparmio energetico, alla raccolta e al trattamento dei rifiuti. Ma un’urgenza appare ineludibile. Si tratta della necessità di mettere in sicurezza il nostro territorio nei confronti dei rischi sismici. Un progetto poliennale che mirasse all’adeguamento di tutti i fabbricati nelle zone a rischio sismico con standard di sicurezza predefiniti potrebbe rappresentare anche un potente stimolo alla crescita interna, oltre a costituire un obbligo civile per la salvaguardia di molte vite umane.
L’emersione di una domanda programmabile di lavori di messa in sicurezza farebbe nascere nuove imprese, stimolerebbe la ricerca di nuove tecnologie, favorirebbe l’emersione di nuove professionalità e creerebbe nuove occasioni di lavoro. Il circuito della crescita economica potrebbe essere riavviato.
Certamente sarebbe necessario prevedere un qualche intervento di spesa pubblica per gli incentivi e per coprire casi di incapacità reddituale per ottemperare agli obblighi. Ma il grosso della spesa sarebbe a carico delle proprietà che finirebbero per investire su loro stessi, accrescendo il valore del proprio patrimonio. In questa maniera sarebbe possibile mobilitare patrimoni e risparmi privati indirizzandoli verso processi di crescita senza intaccare il valore delle proprietà private. Il Paese avrebbe il beneficio non solo della maggiore crescita, ma anche e soprattutto della messa in sicurezza del proprio territorio.
Innocenzo Cipolletta
Presidente di Ubs Italia Sim spa e presidente dell’Università di Trento. Già direttore generale di Confindustria