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Le follie fiscali di Berlusconi costano 60 miliardi di euro. Parola di Tito Boeri

Fanno ancora discutere le proposte lanciate ieri dal presidente del Pdl e leader della coalizione di centrodestra, Silvio Berlusconi, sulla riduzione delle tasse. Su tutte, quella di restituire agli italiani l’Imu pagata sulla prima casa. Oltre ai commenti e alle ironie sulla rete, anche gli economisti intervengono sulla questione, sottolineando i diversi elementi contraddittori di un simile provvedimento.

Tito Boeri, ordinario di Economia all’Università Bocconi di Milano, in un articolo su Lavoce.info intitolato “60 miliardi di sciocchezze”, valuta i costi della proposta dell’ex premier che, calcoli alla mano, comporterebbe appunto l’introduzione di “non meno di 60 miliardi di tasse in più sul lavoro, la proroga del blocco dei salari nel pubblico impiego e la rinuncia ad investimenti”. In sostanza, secondo Boeri, si tratterebbe di una “promessa fatta da qualcuno che sa di perdere le elezioni e che quindi non si preoccupa minimamente della sua fattibilità”.

Il professore calcola che la restituzione dell’Imu pagata dagli italiani sulla prima abitazione comporterebbe anzitutto 8 miliardi di entrate in meno per lo Stato: 4 per la restituzione del gettito del 2012 e altre 4 di mancato introito nell’anno in corso.

Il Cavaliere poi ha proposto, anzi ri-proposto, la cancellazione dell’Irap, che vale circa 35 miliardi di euro. “Supponendo che l’operazione venga distribuita uniformemente nell’arco della legislatura – calcola Boeri – saranno 7 miliardi nel 2013, 14 nel 2014, 21 nel 2015, 28 nel 2016 e 35 a fine legislatura”.

Queste misure, a parere dell’economista della Bocconi, farebbero impennare lo spread a causa della perdita di credibilità che si potrebbe generare, visto che proprio nell’ultimo anno – al netto degli interventi della Bce – con “la riforma delle pensioni e il ripristino della tassa sulla prima casa”, il “governo italiano aveva mostrato di saper prendere misure impopolari per rispettare gli impegni presi con l’Europa”. Boeri calcola un aumento di circa 100 punti base, che si tradurrebbe in “20 miliardi di spesa per interessi in più a regime, che cominceremmo a pagare man mano che titoli vecchi vanno in scadenza e ne emettiamo di nuovi. Dunque pagheremmo circa 3,5 miliardi in più nel primo anno, 7 nel secondo e così via (contando su di una durata media del debito di circa 6 anni)”.

Gli italiani però stiamo tranquilli, hanno assicurato Berlusconi e Renato Brunetta: troveremo le fonti per finanziare questo intervento. Di tutt’altro parere invece Tito Boeri, perché “le coperture proposte sono risibili. Il finanziamento pubblico ai partiti vale 400 milioni, lo 0,6% di quanto sarebbe necessario. L’accordo con la Svizzera è pieno di insidie e non è affatto detto che porti ad entrate aggiuntive, almeno nei tempi che sarebbero richiesti per la “proposta shock”. Le risorse andranno quindi reperite aumentando altre tasse, presumibilmente in gran parte a carico del lavoro. Ovviamente – osserva Boeri – tutto ciò impedirebbe di fare le altre cose previste nel programma del Pdl, tra cui la detassazione delle assunzioni e la rinuncia all’aumento dell’Iva. E per rispettare i vincoli del fiscal compact bisognerà prorogare il blocco dei salari nel pubblico impiego, rinunciare a programmi di investimenti pubblici e non ci saranno fondi per riformare gli ammortizzatori sociali, per pagare la Cassa Integrazione”.

“Vedremo come la giudicheranno i mercati. Speriamo non la prendano troppo sul serio”, conclude Boeri.



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