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Il mancato dialogo che affossa l’Egitto

Articolo tratto dal dossier “Finmeccanica, Mediterraneo in fiamme, Italia e Ue” di Affari Internazionali.

Secondo una dichiarazione rilasciata a fine gennaio dalla Casa Bianca, l’Egitto sta percorrendo “il difficile sentiero che porta alla realizzazione della democrazia e allo stato diritto”. I fatti sul campo mostrano però che il Paese è avvolto in un ben più preoccupante circolo di violenza che si serve degli stessi ingranaggi del vecchio regime.

Solo nell’ultima settimana di gennaio, in concomitanza con il secondo anniversario della scoppio della rivoluzione, sono morti quasi sessanta civili. Tra questi due giovani massacrati dalle forze di polizia la cui storia ha ricordato quella di Khaled Said, l’internauta deceduto nel giugno 2010 a causa delle torture della polizia, ritenuto anche il primo martire della rivolta popolare.

A spaventare è poi la nuova ondata di aggressioni sulle donne che manifestano, un tipo di molestia tradizionalmente sessuale e spontanea che sta ora diventando sempre più strutturata, sfociando nella violenza armata. Solo il 25 gennaio ci sono state almeno ventisei vittime, cadute nelle mani di gruppi di uomini armati, quasi tutte nello stesso luogo e nello stesso momento.

Tavolo negoziale
Per fermare questa escalation che non fa che esacerbare la polarizzazione esistente, il presidente islamista Mohammed Mursi ha invitato i diversi attori politici a un tavolo negoziale. Il Fronte di Salvezza Nazionale (Fns), un ombrello che riunisce diciotto movimenti non islamisti guidati dall’ex segretario generale dell’Agenzia internazionale per l’energia atomica Mohammed el Baradei, non ha però accettato l’invito. Secondo il Fsn nessun dialogo è possibile fino a quando Mursi non si assume le responsabilità degli ultimi sanguinosi incidenti, si impegna a formare un governo di unità nazionale e un comitato equilibrato per la modifica della Costituzione approvata lo scorso dicembre.

“Dietro il disaccordo sulla Costituzione si nascondono questioni che rimandano a più complessi equilibri di potere che hanno poco a che fare con il testo in sé. Il divario tra le parti sugli articoli importanti non è ampio e si potrebbe risolvere facilmente se ci fosse la volontà” spiega Zaid el Ali, costituzionalista di International Idea, commentando la notizia della creazione di una commissione per l’emendamento di alcuni articoli. “I due poli faticano a trovare punti di contatto e il rischio è che il divario aumenti” aggiunge El-Ali.

L’iniziativa di Al-Ahzar
Per scongiurare questo rischio è entrato in scena anche il grande imam di Al-Ahzar, la massima autorità dell’islam sunnita. Ahmed al-Tayyeb ha infatti organizzato un tavolo negoziale alternativo che ha redatto una carta che elenca dieci punti che potrebbero risolvere la crisi in corso. Non è la prima volta che Al-Ahzar si muove in questa direzione. Già lo scorso anno aveva riunito i suoi ulema per redigere tre documenti che riflettessero sulle questioni sollevate dall’ondata rivoluzionaria, al fine di chiarire il rapporto tra stato e religione e porre le basi di una corretta politica ispirata ai principi della sharia, la legge islamica.

Tayyeb, che deve ora confrontarsi con l’ascesa al potere della Fratellanza Musulmana che, secondo fonti da confermare, vorrebbe sostituirlo con una guida più vicina alla sua posizione, è riuscito a fare sedere allo stesso tavolo rappresentati dell’islam politico, giovani rivoluzionari e membri del Fsn.

Il successo del dialogo dipende ora dagli attori che vi hanno partecipato, dalla loro sincerità di intenti e dallo sforzo che questi saranno pronti a compiere per raggiungere un punto di incontro. Anche se El Baradei si è mostrato ottimista e ha dichiarato all’agenzia Reuters che “ognuno di noi farà il possibile per creare fiducia tra le diverse fazioni presenti nel paese”, a una settimana di distanza non si è ancora registrato alcun progresso.

Stallo tra governo e opposizione
Secondo Samer S.Shehata, docente all’Università di Georgetown, gli eventi più recenti hanno mostrato che nessuno, neanche l’opposizione, è in grado di controllare le manifestazioni e la violenza che ne scaturisce. A essere in pericolo è quindi l’autorità stessa dello Stato, visto che un numero crescente di cittadini non accetta la legittimità di alcune istituzioni politiche, in primis la presidenza.

Dopo essersi mostrato disponibile a trattare, nell’ultima settimana il governo ha continuato a delegittimare l’opposizione. Mentre una coalizione di tredici partiti islamisti ha chiesto una legge che vieti manifestazioni distruttive, il premier Hisham Qandil ha invitato gli egiziani a ignorare i discorsi dei media parziali che incitano alla ribellione, cercando di stabilizzare il paese.

Anche se la sua squadra si mostra forte, le dinamiche che hanno portato alla stesura della Costituzione, mostrano che Mursi è conscio della sua debolezza e sa di aver perso in fretta quell’1% di voti che lo scorso giugno gli ha permesso la vittoria.

In quest’ottica, il presidente dovrebbe cercare di ascoltare le richieste incalzanti di quanti non smettono di scendere in strada, impegnandosi a realizzare i cambiamenti profondi chiesti dal paese – dalla modalità di gestione e divisione del potere a quella di mantenimento dell’ordine socio economico – più che quelli auspicati dal suo movimento di appartenenza.

Al contempo, anche l’opposizione non si è mostrata abile, o interessata, a intavolare un nuovo discorso che superi la contrapposizione tra islamisti e partiti su posizioni più laiche e cerchi di creare una piattaforma più ampia alla quale possano partecipare anche le istanze di quello che sembra diventare il terzo polo, ovvero i partiti fondati dagli islamisti moderati fuoriusciti da anni dalla Fratellanza Musulmana.

Qualora l’opposizione si mostrasse davvero interessata a ridisegnare la mappa politica egiziana, questo potrebbe contribuire in modo sostanziale alla trasformazione democratica e all’inizio di un processo di inclusione politica in grado di creare un più ampio consenso.

Azzurra Meringolo è dottoressa in Relazioni Internazionali presso l’Università di Bologna. È autrice di “I Ragazzi di piazza Tharir” e vincitrice del premio giornalistico Ivan Bonfanti 2012.



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