Sulla Lombardia si sta intensificando il gioco di specchi tipico delle contese elettorali. Trionfa la innata tendenza dietrologica dei giornali italiani.
Questo blog ha osservato con interesse il ping pong di affermazioni e smentite provenienti dalle fila montiane in questi giorni, e il commento che ne hanno fatto i giornali italiani. Oggetto delle dichiarazioni è un presunto accordo di “desistenza” montiana a favore del Pd per le regionali, corroborata dalle dichiarazioni di diversi membri dell’area Monti – Ilaria Borletti Buitoni, seguita a breve distanza di tempo da altri montiani come il trentino Dellai e il bresciano Gitti – e smentite seccamente dal campaign manager Mario Sechi e dallo stesso Monti.
Il presupposto di questo giallo è dato dalla possibilità di fare voto disgiunto, accordando la propria preferenza a candidati diversi. Una possibilità, questa, che gli italiani non disprezzano affatto, anche perché consente di combinare un voto di opinione – voto chi mi piace, anche se ha poche possibilità di farcela – e un voto riluttante – voto chi non mi convince fino in fondo, perché è il meno peggio o perché può impedire l’affermazione degli “altri”.
Quella del voto disgiunto è una possibilità che i lombardi avranno più di altri, dal momento che si troveranno a votare non solo per Camera e Senato, ma anche per la Regione. La Lombardia non è solo la regione più ricca d’Italia ma è anche lo snodo di molte traiettorie politiche. Dal Pirellone, infatti, passano l’accordo di partenariato tra il PDL e la Lega Nord, e la tenuta del nuovo vertice leghista.
Per Monti, tuttavia, l’ipotesi di un accordo di desistenza sulle regionali lombarde è ricca di insidie. L’aspetto critico di maggiore rilevo è che gli elettori potrebbero non tenere conto di un (ipotetico) accordo di questo tipo, anzi. In generale, in questa fase storico-politica, quasi nessun partito riesce a trasmettere una linea alla propria base e allinearla con facilità. Se ci riesce, è solo nell’ambito di liturgie interne al partito, come nel corso di elezioni primarie. Nello specifico, per Monti sarebbero poi a rischio sono i non pochi voti di coloro che in precedenza votavano Pdl e che non accetterebbero “inciuci” con il Pd. Se sentissero puzza di Bersani, potrebbero piantare in asso Monti non solo alle regionali lombarde ma anche – rischio molto serio – alla Camera e al Senato. E’ per questa ragione che Sechi si è esposto in prima persona per smentire l’esistenza di trattative segrete con il Pd, provando a tacitare i commentatori che desumevano la svolta pro-PD sulla base del “peso” dei montiani a favore di Ambrosoli, applicando logiche sillogistiche spinte all’estremo.
Si tratta di ragionamenti per cui Dellai è un autorevole democristiano trentino, la Borletti Buitoni è incardinata nell’aristocrazia venale lombarda, e Gitti è il genero di Bazoli e quindi vicino finanza bianca bresciana. Ciascuno di costoro, cioè, parla per conto di una constituency a cui Monti tiene molto, e dunque esprime una linea degna di nota. La conclusione di questo ragionamento a senso unico è triplice: i) Monti svolta a sinistra (forse perché in cambio della svolta può estrarre robuste concessioni dal PD), ii) Monti non si esprime perché vuole evitare di mettere in fuga i propri sostenitori che non vedono di buon occhio accordi con il PD, iii) a parlare per conto di Monti, in un vorticoso gioco di parti in commedia, sono dunque alcuni “ambasciatori” dalle credenziali pesanti, che possono essere smentiti ma comunque lasciano il segno. A vederlo così, sembra un ragionamento straordinariamente elaborato, quasi machiavellico. Forse troppo, non vi pare? In realtà in un tutte le formazioni moderate prive dei numeri per governare da sole convivono da sempre più anime, ed è del tutto normale che nelle fila montiane alcuni individui abbiano una funzione (autoattribuita?) di “interfaccia” con una delle parti politiche. Ma di questo, e di molto altro ancora, ci si può scordare. Dopotutto, siamo in campagna elettorale e ogni scherzo vale. O no?