Siamo arrivati finalmente al voto. Domenica 24 e lunedì 25 gli elettori sceglieranno i loro rappresentanti in Parlamento per, si spera, i prossimi cinque anni. Le elezioni politiche sono sempre importanti, ma stavolta l’appuntamento con il voto è ancora più delicato. Perché siamo ormai al quinto anno di crisi e il Paese comincia a non farcela più.
I segni di cedimento, economico e sociale, si moltiplicano pericolosamente. Altrove, anche in Paesi europei nostri concorrenti, la ripresa comincia a manifestarsi con sempre maggiore evidenza, da noi è ancora notte buia. Si salvano solo le aziende esportatrici, loro colgono i benefici di questa ripresa mondiale, vedono crescere il loro volume di affari. Non è una novità, sono le stesse, alcune centinaia, che hanno continuato a investire, che grazie alla loro lungimiranza hanno superato la crisi del 2003, quella che pensavamo fosse una crisi, e che non hanno mai smesso di rafforzarsi. Sono il nostro fiore all’occhiello, ma non sono sufficienti a far invertire il segno dello stato dell’intero Paese. Il resto dell’economia, la gran parte, continua a versare in condizioni gravissime. I ricorsi alla cassa integrazione aumentano a dismisura, il numero delle aziende che chiudono e dei posti di lavoro che scompaiono continua a crescere.
Per questo si guarda con preoccupazione a queste elezioni. All’Italia servirebbe un governo capace di affrontare i nodi strutturali della nostra economia, di raddrizzare le storture che si sono accumulate negli anni e che agiscono da freno allontanando qualsiasi possibilità di risalita. Deve ripartire la domanda interna, ma per ottenere questo risultato è necessaria una gestione generale dell’economia, anche per quanto si riferisce ai rapporti con l’Unione europea, che non può essere garantita che da un governo forte. E invece la prospettiva di una maggioranza ampia e coesa in Parlamento, in grado di lavorare serenamente per qualche anno, non è proprio all’orizzonte.
Il rischio che corriamo è quello del declino generale del nostro Paese. Un pericolo ancora lontano, perché il nostro è un Paese forte, con grandi capacità di recupero, con grandi alleanze che ci possono supportare nei momenti di difficoltà, come è avvenuto anche in questi anni. Ma il pericolo resta forte lo stesso. Anche perché si sono indeboliti soggetti importanti che potevano e dovevano invece dare un contributo rilevante nel momento di difficoltà. Per restare nel campo sociale, l’indebolimento delle grandi rappresentanze, dei lavoratori come degli imprenditori, è ormai un fatto palese, del quale però si stenta pericolosamente a prendere atto. Il pericolo è insito nel fatto che si tende a rimuovere questa realtà, a far finta che non esista, per paura di leggere cosa c’è dietro questa debolezza.
Un importante studioso dei fatti sociali del nostro Paese parlava tempo fa con grande naturalezza delle grandi associazioni imprenditoriali come di enti inutili, descrivendo parallelamente l’estrema incapacità dei sindacati dei lavoratori di guidare lo sviluppo, di farsi portatori dell’esigenza di un rinnovamento capace di cancellare queste difficoltà.
L’anno passato è stato davvero pesante per le parti sociali. Il governo Monti, negando non solo la concertazione, ma anche il dialogo sociale come lo intendevano i precedenti governi di centrodestra, ha creato un grave danno. Ma uno altrettanto forte lo hanno prodotto le stesse associazioni degli imprenditori e dei lavoratori quando non sono riuscite a trovare un accordo tra loro sulle materie sulle quali il governo e il Parlamento stavano deliberando. Se le parti sociali avessero avuto la forza di superare le loro miopi contrapposizioni, indicando a governo e Parlamento la strada da seguire per le grandi riforme che si stavano facendo, queste avrebbero avuto un corso diverso, non avrebbero creato tutti i danni che invece sono stati fatti.
Tra i compiti del nuovo governo c’è anche questo, la ricostruzione di una realtà sociale fatta di protagonisti forti e capaci di esprimere le loro opinioni in maniera fattiva. Le parti sociali sono state sempre una ricchezza per il nostro paese, devono tornare a esserlo, proprio perché gli appuntamenti dell’economia sono così gravosi che non è possibile fare a meno di loro. La speranza è che dal cappello del grande prestigiatore che opererà, tra domenica e lunedì esca anche questo coniglio.