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Come tutelare dalla corruzione gruppi strategici come Eni e Finmeccanica

Chi non vuole farsi stordire da arresti, scandali e intercettazioni che coinvolgono manager di primarie società italiane, e vuole invece riflettere se e come la legislazione italiana sulla corruzione internazionale può e deve essere modificata per preservare gli interessi nazionali nei settori della difesa e dell’energia, allora può rivolgersi ad Andrea Tavecchio, commercialista quarantenne milanese e uno dei promotori del giornale on line Linkiesta su cui tiene un blog “Fisco e Sviluppo”. Tavecchio scriveva per Il Riformista e Milano Finanza e alcuni giorni fa ha scritto una interessante, e per certi versi controcorrente, analisi sul quotidiano Il Foglio.

Che cosa pensa di quello che sta succedendo su Eni-Saipem e Finmeccanica? E che cosa succede in casi simili in altri Paesi?

“Facciamo una premessa così evitiamo di dire banalità, come si sente troppo spesso anche nei talk show pre elettorali. Forse non tutti sanno che negli Stati Uniti nel processo per corruzione internazionale che ha coinvolto James Giffen, petroliere-banchiere americano ritratto nel film Syriana con Goorge Clooney Giffen, accusato di aver pagato tangenti per 80 milioni di dollari al Presidente del Kazakhstan Nursultan Nazarbayev per conseguire lo sfruttamento di importanti giacimenti petroliferi, è stato recentemente assolto dai giudici del suo Paese proprio con la motivazione che egli aveva agito “nell’interesse strategico degli Stati Uniti”.

Torniamo in Italia…

“Le vicende giudiziarie Eni-Saipem e Finmeccanica stanno dimostrando la nostra innata tendenza a non riflettere sui temi complessi, come quello della corruzione internazionale. Si sfugge così alla possibilità di fare un serio dibattito, come in tutti i Paesi civili, sulle regole con cui vogliamo affrontare la competizione internazionale in settori strategici e delicati come quelli della difesa e dell’energia. Dobbiamo capire il campo di gioco per evitare di farci scippare, a costo quasi zero, quel poco di grande industria che ci rimane e di cui abbiamo bisogno per tornare a crescere e competere”.

Ma in tanti dicono che l’Italia è indietro rispetto ad altri Paesi che invece sono più trasparenti.

“Il reato di corruzione internazionale, cioè la punibilità penale in Italia anche per tangenti pagate all’estero, è stato introdotto nel nostro Paese nel 2000 come recepimento di una convenzione Ocse che si ispirava, a sua volta, a una normativa anticorruzione statunitense degli anni 70. La normativa americana venne impostata in modo da evitare svantaggi competitivi alle aziende, con criteri di collegamento estesi ad operatori non americani. Quindi la prospettiva statunitense è sempre stata quella di tenere insieme trasparenza e business, non moralismo stupido ma pragmatismo vigile. Negli Stati Uniti, infatti, casi come Eni-Saipem e Finmeccanica, sarebbero trattati in modo diverso per non confondere eventuali responsabilità personali di manager e politici se infedeli o corrotti con la vita delle aziende e l’interesse nazionale che viene – giustamente – sempre prima di tutto, specie nell’energia e nella difesa. La normativa Usa è diversa perché come risaputo negli Stati Uniti non c’è l’obbligatorietà dell’azione penale, quindi in casi simili verrebbero utilizzati i così detti “Deferred Prosecution Agreement” che consistono in una rinuncia all’azione penale a fronte del pagamento di importi concordati e dell’implementazione di “compliance programs” cioè all’adozione di regole per evitare il ripetersi del comportamento sanzionabile”.

E rispetto al resto d’Europa? Quali modifiche potrebbero essere apportate alla normativa italiana?

In Italia non siamo solo meno sofisticati che negli Stati Uniti ma siamo anche più severi che nel resto d’Europa perché le norme italiane prevedono un rapporto tra la corruzione internazionale e le sanzioni interdittive per l’azienda – ai sensi sempre della legge 231 – mentre i nostri partner europei non applicano sanzioni interdittive alle società perché hanno capito che nella maggior parte dei casi produrrebbe danni irreparabili (in molti stati europei, infatti, si interviene solo con pene pecuniarie)”.

E lei che cosa propone?

“Un modo per perseguire correttamente la corruzione internazionale senza pregiudicare l’interesse nazionale sarebbe quello di evitare di irrogare contro società strategiche delle sanzioni (come l’interdizione e il commissariamento) che, da un lato, possono causare danni gravissimi e irreparabili e, dall’altro lato, sono perfino di dubbia applicabilità in base alla normativa vigente”.

Perché accennava all’inizio che l’Italia corre il rischio di farsi scippare a costo zero qualche grande industria?

“Dipende molto anche dal ruolo dell’informazione. Se non la smettiamo di parlare per slogan in modo non informato di cose delicate e serie rischiamo di perdere Finmeccanica ed Eni. Le democrazia mature – come abbiamo visto – capiscono e sanno accettare, e regolamentare, la differenza tra accedere a mercati non trasparenti grazie a lecite sponsorizzazioni locali e pagare retrocessioni, estero su estero, al management e alla politica. E comunque l’interesse nazionale viene prima di tutto e cosa è interesse nazionale nei paesi civili lo decidono governo e Parlamento, non la Magistratura”.

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