Lega e Pdl propongono che Piemonte, Lombardia, Veneto e Friuli Venezia Giulia trattengano sui propri territori il 75% del gettito dei tributi generati da quegli stessi territori. Si tratta di una proposta incostituzionale, dannosa per la finanza pubblica italiana e pericolosa sul piano economico e politico anche per i cittadini delle regioni del nord che si vorrebbero beneficiare.
Le tasse non sono dei territori, sono dei cittadini e delle imprese che le pagano in base al principio di capacità contributiva per ottenere in cambio beni e servizi pubblici. Un contribuente milanese che dichiara 35.000 euro all’anno paga, a parità di altre condizioni (detrazioni, ecc.) esattamente la stessa Irpef di un contribuente napoletano che guadagna la stessa cifra. Il napoletano anzi, come la maggior parte dei cittadini del sud, paga ormai più del milanese, e della maggior parte dei cittadini del nord, la componente locale dell’Irpef, perché le addizionali regionali e comunali sono più alte nel sud rispetto al nord. Il nord versa più tasse, quindi, perché ha più contribuenti (più cittadini che lavorano) e con redditi mediamente più alti: per effetto cioè della più ampia base produttiva e della progressività del sistema fiscale.
Anche la spesa pubblica è più alta nel nord: un dato, questo, che l’approccio sciattamente leghista tende a dimenticare. Mettendo da parte la spesa per interessi sul debito pubblico, secondo stime dei ricercatori della Banca d’Italia (vedi Alessandra Staderini ed Emilio Vadalà, “Bilancio pubblico e flussi redistributivi interregionali: ricostruzione e analisi dei residui fiscali nelle regioni italiane”, in Banca d’Italia, Mezzogiorno e politiche regionali, Roma, novembre 2009, pp. 597-622) la spesa pubblica per abitante nelle regioni ordinarie del nord è di 10.459 euro contro 9.578 nel sud. Nelle regioni speciali del nord si raggiungono i livelli più alti di spesa pubblica, 13.643 euro per abitante, mentre nelle regioni speciali del sud il livello è di 10.388 euro. E’ facile notare che la spesa pubblica è più elevata nelle regioni ordinarie del nord al confronto anche con le regioni speciali del sud, nonostante queste ultime, in quanto “speciali”, esercitino più funzioni e competenze (in Sicilia, ad esempio, la tutela e gestione dei beni culturali).
La spesa pubblica è maggiore al nord perché al nord affluisce più spesa pensionistica (ci sono, nel nord, più pensioni e mediamente più alte, come conseguenza di vite produttive più robuste dei lavoratori oggi pensionati) e perché al nord è storicamente più alta la spesa pubblica locale (comunale, provinciale e regionale), in conseguenza di una più radicata e antica tradizione civica e solidaristica di welfare di prossimità. La spesa pubblica statale, invece, è tendenzialmente più perequata.
La Costituzione italiana non dice che le tasse sono dei territori. Per andare avanti, la proposta di Lega e Pdl avrebbe bisogno di una modifica costituzionale, per ottenere la quale è ben difficile che nel prossimo Parlamento ci siano i numeri necessari. La Costituzione stabilisce dei principi per il finanziamento delle regioni e degli enti pubblici locali: dal lato della spesa, occorre finanziare i livelli essenziali delle prestazioni ai costi standard; dal lato delle entrate si possono utilizzare tributi propri, compartecipazioni a tributi erariali e fondi perequativi. A questi principi corrisponde la legge 42 del 2009, fortemente voluta dalla Lega e dall’allora ministro Calderoli, e approvata con l’astensione del Partito Democratico, dopo che in aula erano stati accettati oltre cento emendamenti di modifica del testo iniziale.
Per quanto si tratti di argomenti complicati e tecnicamente barocchi, lo spirito della Costituzione e della legge 42 sul “federalismo fiscale” è facile da spiegare. Occorre in primo luogo definire la quantità “giusta” di spesa pubblica necessaria per erogare i livelli di servizio definiti come “essenziali” (nella sanità, nell’istruzione, nell’assistenza, ecc.) in condizioni di efficienza (a costi standard). E occorre poi garantire il finanziamento di questi fabbisogni (standard) con tributi propri, compartecipazioni e perequazione.
E’ questa la strada maestra del federalismo, ed è un peccato che Lega e Pdl l’abbiano abbandonata e siano arretrati e involuti verso una proposta dal puro sapore demagogico e propagandistico.
Se la Lombardia, il Piemonte e il Veneto (lasciamo da parte il Friuli, che è regione “speciale”) possono finanziare i loro livelli essenziali di welfare ricorrendo ai soli tributi propri e alle compartecipazioni, e non hanno bisogno di perequazione, che senso ha assegnare loro risorse aggiuntive? Per fare cosa? Gianfranco Cerea, su lavoce.info, e Piero Giarda, su Il Sole 24 Ore, hanno fatto i conti: si tratterebbe di dare alle quattro regioni circa 20 miliardi in più. Se la proposta venisse estesa a tutte le regioni, si tratterebbe di trasferire dal bilancio dello Stato a quello degli enti regionali e territoriali di tutto il Paese circa 55 miliardi.
Delle due l’una: o si apre nei conti pubblici una voragine insostenibile, oppure si dovrebbero decentrare spese attualmente centralizzate per un uguale importo. Ad esempio, gli stipendi degli insegnanti oppure la spesa per l’Università. Forse però, prima di decentrare ulteriori competenze, il funzionamento degli enti decentrati, e soprattutto delle regioni, andrebbe sottoposto ad un vaglio molto attento. Non sempre il decentramento è stato bene utilizzato, e ciò che è successo nella Regione Lombardia dimostra che l’abbandono della via dell’efficienza e della sobrietà può avvenire dappertutto, anche nella regione più avanzata e ricca del Paese.
Ma ci sono due ulteriori motivi che rendono dannosa la proposta Lega-Pdl per lo stesso nord. Primo: i livelli essenziali dei servizi pubblici vanno sostenuti in tutta Italia, e nei territori meno avanzati c’è bisogno di un intervento perequativo, che la Costituzione assegna allo Stato centrale. Se dovesse prevalere la versione egoistica e propagandistica del federalismo proposta da Lega e Pdl, la perequazione rischia di essere insufficiente o assente. Al di là degli aspetti di incostituzionalità, si metterebbe in moto un circolo vizioso di carattere economico a danno del nord. Il sud infatti importa dal centro-nord 70 miliardi all’anno di beni e servizi, e resta un fondamentale mercato per l’apparato produttivo del nord. I famosi soldi in più che Maroni e Berlusconi vorrebbero lasciare in Lombardia sarebbero più che compensati dai soldi in meno che affluirebbero in Lombardia per effetto della riduzione della domanda di consumi e investimenti del sud.
Secondo: c’è un elemento economicamente e politicamente sbagliato nella vulgata leghista e pidiellina. In modo subliminale si fa passare il messaggio che se una regione, ad esempio la Lombardia (ma lo stesso vale per l’Emilia o la Toscana), riesce a finanziare la fornitura dei servizi pubblici ai suoi cittadini e al suo territorio con i soli tributi propri e compartecipazioni, allora può fare di quei soldi tutto ciò che vuole, al di fuori di regole e controlli. Come se regole e controlli valessero solo per i fondi perequativi, e non anche per l’uso dei, ben più rilevanti, gettiti dei tributi locali ed erariali. Leggendo le cronache sul consiglio regionale lombardo si ha l’impressione che questo messaggio distorto abbia fatto breccia. Ed è quanto di più sbagliato e decadente abbiano prodotto venti anni di becera propaganda leghista. Il contribuente lombardo, al contrario, così come quello emiliano o toscano, ha il pieno diritto di essere garantito che le sue tasse vengano spese bene, per la fornitura di servizi pubblici al “costo giusto”, con processi improntati a piena trasparenza.
L’autosufficienza fiscale di una regione, o di un territorio, non riduce certo la responsabilità o gli obblighi di chi lo governa. E non può diventare la giustificazione per spese inutili, per costi fuori standard, per sprechi. Anche le regioni autosufficienti, insomma, devono essere assoggettate a controllo e monitoraggio e devono corrispondere a regole (ad esempio, di redazione dei bilanci, di revisione della spesa, ecc.) omogenee per l’intero territorio nazionale, a garanzia dei contribuenti di quelle regioni che pagano le imposte e a garanzia, più in generale, del corretto funzionamento del sistema democratico.
Marco Causi
(candidato per il Pd in Sicilia 1 alla Camera)