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Le follie processuali sulla furbata di Gabetti e Stevens

Grazie all’autorizzazione dell’editore e dell’autore, pubblichiamo il commento di Sergio Luciano comparso sull’edizione odierna del quotidiano Italia Oggi diretto da Pierluigi Magnaschi.

Una sorta di “certame” dottrinale a spese del contribuente. Ovvero, un megaprocesso d’appello senza senso. Roba da danno erariale: ma sembra un sacrilegio affermarlo. Di che si tratta? Della “sacra rappresentazione” andata in scena ieri, 21 febbraio, sugli schermi della Corte d’appello di Torino dove i giudici, verso le 15, hanno ribaltato la sentenza d’assoluzione del tribunale, condannando a un anno e quattro mesi Gianluigi Gabetti e Franzo Grande Stevens.

L’accusa: aggiotaggio informativo. Un dettaglio: dopodomani, 24 febbraio, quel reato cade in prescrizione. La difesa, interponendo appello in Cassazione, ne otterrà d’ufficio la ratifica. La cosa era nota e chiara da tempo, e senza che gli imputati avessero mai adottato tecniche dilatorie. Ma allora, aveva senso spendere tempo e denaro pubblico per arrivare a una sentenza meramente dimostrativa?

La vicenda è quella dell’equity-swap di Exor (finanziaria della famiglia Agnelli) sui titoli Fiat. Un’acrobazia finanziaria che permise nel 2004 a John Elkann e parenti di rimanere al 30% del capitale Fiat nonostante le banche creditrici avessero convertito in azioni il loro prestito al Lingotto. Gli Agnelli scesero dal 30 al 22% e contestualmente risalirono al 30% intestandosi i titoli a suo tempo comprati da terzi con l’equity swap. Senza dover fare l’Opa. Una furbata, perché la legge sull’opa non prevedeva un gioco del genere. La Consob però trovò il modo per attaccare comunque l’operazione: un’asserita dissimulazione informativa al mercato. Loro hanno sempre smentito. In sede civile sono stati condannati; nel primo grado penale, assolti. Ieri, la condanna in appello, in zona Cesarini.

Condanna strana (persecutoria? esemplare? pedagogica?) non solo per il calendario, ma anche per l’età degli imputati, ormai da tempo privi di incarichi societari. E poi perché la Corte di giustizia europea ha inviato al governo italiano – accogliendo il ricorso della difesa – una richiesta di chiarimenti sull’ipotesi che questo processo d’appello, seguito alla condanna civile per la stessa vicenda, rappresenterebbe un «bis in idem» (cioè: un secondo giudizio della stessa persona per lo stesso reato, un assurdo giuridico) perché la condanna civile, in questo genere di reati, assorbe quella, teoricamente connessa, penale. Ma per la Corte d’appello di Torino tutto ciò non ha avuto rilievo, e la procura ha avuto e vinto il suo ricorso.

Vittoria di Pirro, a causa della prescrizione; vittoria di Pirro per la stessa Consob, che era parte civile e aveva avanzato una richiesta di risarcimento che – paradosso nel paradosso – è stata respinta. Ma soprattutto, vittoria di Pirro per il contribuente.



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