A pesare sulle elezioni, ma soprattutto sugli scenari successivi, sarà il fattore-coesione. Il Pd e i montiani contano che Pdl e Lega, rimasti fuori dalle stanze dei bottoni, si sfaldino definitivamente. E così, mentre i berlusconiani e i propri alleati tentano il recupero in zona Cesarini e si ripetono che un periodo all’opposizione sarebbe un balsamo per ritrovare l’unità perduta, altri già pensano alla spartizione delle spoglie del Pdl. Dopotutto, nel dicembre scorso, il Partito popolare europeo (Ppe) aveva benedetto l’avventura politica di Monti in un’ottica di graduale sostituzione del Pdl berlusconiano con una formazione borghese maggiormente allineata alla media dei membri Ppe.
Il Pd è davvero coeso?
Quella della coesione è però un’arma a doppio taglio. Quanta è la coesione interna al Pd? Difficile dirlo con precisione, ma la coabitazione tra le due anime del Pd – postcomunista e dossettiana – ha conosciuto molti momenti di dissidio. L’affermazione di Bersani alle ultime primarie, poi, non può essere presa come prova di una ritrovata armonia tra le due componenti, bensì come testimonianza di formidabili capacità “logistiche” dei bersaniani in momenti di liturgia interna. Quanto ha contato la dialettica e la forza delle idee e quanto, invece, la mobilitazione di forze amiche come i tesserati della Cgil? Se alle questioni interne al Pd si sommano i rapporti con i vendoliani di Sel, il quadro si fa ulteriormente complesso.
I dilemmi lombardi di Monti e dei montiani
Di Monti, e dei suoi sforzi per tenere assieme i delusi del Pd e i transfughi del Pdl al tempo stesso, questo blog ha già scritto in abbondanza. Plastica raffigurazione di questa tensione (irrisolta) è la diversità di vedute di Monti e di esponenti della propria formazione sull’atteggiamento da tenere sulle elezioni regionali lombarde. Vicenda conclusasi con un carosello di affermazioni e smentite, e la dolorosa ammissione da parte di Monti sull’impossibilità di avere una linea unica all’interno del movimento.
I vecchi trascinatori: Berlusconi e Bossi
La chiamano “libertà di coscienza”, ma non è che l’ammissione dei vertici dell’impossibilità di farsi seguire dai propri elettori fino in fondo. Quello del “trascinatore di folle” è infatti un profilo che sembra di colpo essersi perso. Berlusconi e Bossi, nel passato recente, ci avevano abituati al profilo del “leader carismatico” capace di infiammare gli elettori e spaccare il dibattito pubblico, ma questo profilo appare oggi più sbiadito.
Chi sono i nuovi maverick: il caso Giannino
L’eccezione a questa tendenza è invece rappresentata da Oscar Giannino e soprattutto da Beppe Grillo. Nel turbinante gioco di parti in commedia, il loro è il ruolo del “maverick” che spariglia le carte e mette in discussione l’ordine costituito. Fermare il Declino è un insolito esperimento di traslare nel panorama politico italiano una codificazione ben nota nei Paesi anglosassoni e nelle loro tradizioni politico-culturali: quello del pensiero libertario. Di fronte alla crescente frustrazione del ceto medio produttivo italiano e all’insopportazione per l’ipertrofia burocratica-tassatoria, Giannino – figlio dell’élitismo repubblicano della Prima Repubblica immersosi nel pensiero economico dei Chicago boys – ha un seguito crescente.
Un fenomeno a 5 Stelle
Beppe Grillo, dipinto per mesi come l’uomo nero dalle marcate tendenze anarcoidi se non addirittura eversive, sta profilandosi come la grande incognita delle imminenti elezioni. Dalla sua capacità di attrarre lo scontento degli elettori – scontento ampiamente presente nel 35% di indecisi e astenuti ma anche tra chi non troppo convintamente è ancora orientato a esprimere un voto per una delle formazioni tradizionali – potrà infatti scaturire una serie di scenari molto variegata. Uno di questi è l’occupazione in forze dei banchi d’opposizione da parte dei grillini da un lato, e la creazione di una maggioranza molto allargata (sinistra-centro-destra) dall’altro lato.
Chi studia Grillo
Per il momento di certo c’è solo che nel corso di pochissimi giorni Grillo e il suo Movimento 5 Stelle sono stati passati ai raggi X da pensatoi per nulla massimalisti. Basta pensare al recente studio di Demos, think tank politico britannico, che ha attestato l’impressionante carisma di Grillo e la sua capacità di mobilitare masse di elettori “istruiti ma disoccupati”. Questo studio, si badi, è stato realizzato con il supporto della Open Society del plutocrate popperiano George Soros e l’apporto di ricercatori dell’Istituto Universitario Europeo di Fiesole. C’è dell’altro: lo studio segue di pochi giorni un interessante resoconto di Maurizio Molinari, inviato negli USA de La Stampa. Molinari ha spulciato gli archivi del Dipartimento di Stato americano, e ha ripescato una serie di giudizi su Grillo per nulla demolitivi dell’allora ambasciatore a Roma. Altri studi precedenti come quelli dell’Istituto Cattaneo, infine, avevano approfondito la composizione del seguito grillino analizzando le recenti elezioni amministrative.
Come dire: Masaniello nei salotti è osservato, eccome. A qualcuno manco dispiace, ma guai a farlo sapere.