Entrambi hanno scelto i parlamentari attraverso la consultazione dei propri iscritti. Entrambi dicono di voler ispirare la nuova fase di vita partitica alla democrazia dal basso, cercando coinvolgimento e partecipazione. Con una sola grande differenza: l’obbedienza incondizionata al leader, che solo in uno dei due casi è legittimato dalla scelta popolare compiuta attraverso le primarie.
Stiamo parlando del primo e del (potenziale) terzo partito politico italiano, vale a dire il Partito Democratico e il Movimento 5 Stelle. A sottolineare la differenza, non a caso, è un giornale vicino al partito di Pier Luigi Bersani, l’Unità, che rispolvera un vecchio comunicato di Beppe Grillo, precisamente il numero 53, dove vengono elencate delle regione (obblighi) precise per i prossimi eletti in Parlamento.
Un esempio di ciò è rappresentato dal Codice di comportamento che indica i doveri degli eletti del Movimento 5 Stelle alla Camera e al Senato. E, fa notare l’Unità, “pazienza per la Costituzione, l’articolo 67, e quella vecchia storia del rappresentare la Nazione e delle funzioni senza vincolo di mandato. Il Codice non lo ricorda e il Movimento ha le sue regole”.
Nel Codice infatti, è opportuno ricordarlo, si impone agli eletti di rifiutare l’appellativo di “onorevole” e optare per il termine “cittadino”; di partecipare ai talk show televisivi; di osservare una rotazione trimestrale dei capogruppo e portavoce di Camera e Senato con persone sempre differenti.
In merito alla trasparenza, le votazioni in aula dovranno esser decise a maggioranza dai parlamentari grillini e sempre motivate e spiegate giornalmente con un video pubblicato sul canale Youtube del Movimento. Inoltre, il parlamentare eletto dovrà dimettersi obbligatoriamente se condannato, anche solo in primo grado. Nel caso di rinvio a giudizio sarà invece sua facoltà decidere se lasciare l’incarico.
Un’altra imposizione per gli eletti – ripresa proprio nell’articolo de l’Unità – è quella che impone loro di presentare le proposte di legge originate dal portale del Movimento attraverso gli iscritti, se votate da almeno il 20% dei partecipanti.
E’ proprio il caso di dire, quindi, che effettivamente si tratta di una concezione di democrazia dal basso tutta particolare.