L’ultimo rapporto del Fondo monetario sull’economia internazionale, scritto in occasione del meeting dei ministri delle finanze e dei governatori delle banche centrali del G20, che si è tenuto a Mosca la settimana scorsa, è un delicato esercizio di stile. A fronte dei noti squilibri internazionali che hanno provocato, scrive, la peggiore crisi dal dopoguerra, il Fondo non può far di più che affidarsi scaramanticamente al genio dei mercati e cavarsela con il più classico degli espedienti. Una roba tipo: le cose vanno meglio, ma potrebbero peggiorare.
D’altronde, sarebbe ingeneroso chiedere di più alle previsioni economiche. E’ interessante però leggerle perché, al di là di ciò che dicono sul futuro, aiutano a capire lo stato del presente.
A livello sistemico, ormai l’economia si è quadripolarizzata. Gli attori sono gli Stati Uniti, il Giappone, l’Eurozona e i paesi emergenti. Ognuno di questi attori presenta luci e ombre, che si ripercuotono sull’outlook globale. Il Pil del mondo, tuttavia, è previsto in crescita dal 3,2% del 2012 al 3,5% del 2013 e al 4,1% del 2014. Il grosso della fatica, tuttavia, la faranno gli emergenti, la cui crescita è prevista al 5,5% nel 2013 e al 5,9% nel 2014. L’Eurozona dovrà fare i conti con un 2013 in recessione (-0,2%) e un 2014 con un risicato +1%, mentre gli Stati Uniti si prevede spunteranno un +2% quest’anno e un +3% l’anno prossimo. Persino il Giappone è previsto faccia meglio della zona Euro, con un +1,2% quest’anno e un +0,7 il prossimo. L’Italia rimane fanalino di coda, con un -1% quest’anno e un povero +0,5% l’anno prossimo.
Fin qui le buone notizie, chiamiamole così. Perché su questo scenario di crescita col freno a mano – la Cina, tanto per dire si prevede stabile intorno all’8% e l’India intorno al 6% – incombono tali e tante incognite che dovremmo brindare a champagne se tali risultati si verificassero.
A parte le incognite politiche, le elezioni italiane piuttosto che quelle tedesche, che il Fondo non trascura di menzionare, sono le grandi questioni macroeonomiche – che pure politiche sono – a preoccupare gli esperti del Fondo. Non a caso il paper si intitola “Global prospects and policy changelles”. Perché è vero che i mercati finanziari sono alle prese con un mini-boom, ma è vero altresì che ci sono ancora rischi rilevanti di nuovi sconvolgimenti. Perciò è necessario che ognuno faccia i propri compiti a casa.
L’eurozona, ad esempio, dovrebbe procedere speditamente verso una autentica unione economica e monetaria, per dare alla politica monetaria la capacità di trasmettersi davvero all’economia reale. Finora le trovate della Banca centrale sono servite a dare ossigeno ai mercati finanziari, ma tali stimoli si sono trasmessi con estrema lentezza al tessuto produttivo. Da qui la crescita al lumicino.
Se poi andiamo a vedere nel dettaglio, scopriamo che gli squilibri di cui soffre l’eurozona sono tutt’altro che sistemati. Le partite debitorie/creditorie dell’eurosistema delle banche centrali, ad esempio, vedono un costante aumento dei crediti tedeschi a fronte di un pressoché simmetrico aumento dei debiti di Spagna e Italia a cui corrisponde un allargamento dei corrispondenti spread. Da qui l’esortazione del Fondo a risolvere gli squilibri nei settori pubblici e privati e a mettere in campo politiche per aumentare la competività. Che in un’area monetaria unica significa svalutare i fattori della produzione, lavoro in testa.
Se andiamo negli Usa, a fronte di alcuni segnali positivi, come quelli che arrivano dal settore immobiliare che secondo il Fondo “è sano”, rimane aperta la madre di tutte le questioni: quella fiscale. Sui mercati pesa come un macigno l’incognita del tetto del debito e soprattutto quella dell’andamento di tale debito in futuro.
E lo stesso vale per il Giappone. Il varo dei piani di stimolo e la politica monetaria accomodante non potranno sopire a lungo i timori dei mercati. “In generale – scrive il Fondo – i paesi avanzati dovranno ridurre l’incidenza dei fattori connessi all’invecchiamento e alla salute sui propri bilanci”. Facile a dirsi.
Se guardiamo agli emergenti, la loro forza (i crediti) sono basati sulle debolezze degli altri paesi (i debiti), ma a ben vedere c’è il rischio che non si tratti di forza, ma di debolezza ben mascherata. Agli emergenti il Fondo raccomanda di ripensare lo spazio fiscale, per rilancia la domanda interna e gli investimenti, e di tenere gli occhi ben aperti sulla crescita del credito, pompata dagli afflussi netti dai paesi avanzati. Il rischio di bolle, aumentato dalle politiche monetarie espansive dei paesi avanzati, incombe sugli emergenti tanto quanto (se non di più) sugli altri.
La conclusione è quasi sconfortante: “Gli squilibri globali si sono ridotti notevolmente, ma le vecchie sfide sono rimaste senza risposta”. Peraltro, nota il Fondo, molti di questi squilibri si sono corretti solo perché sono crollate le domande interne nei paesi in difficoltà, come è successo in Italia, e perché è aumentata la produttività, grazie al calo del costo del lavoro.
Ciò illustra con chiarezza che la strada è già segnata per metà Europa. Nei paesi in difficoltà, quindi anche il nostro, le politiche di austerità favoriranno l’aggiustamento del mercato del lavoro. Quindi i cittadini avranno salari più bassi per migliorare la competitività. Ciò provocherà minori consumi e meno import, mentre le nostre aziende (cambio permettendo) potranno esportare di più, contribuendo così a correggere gli squilibri con l’estero. A fronte di tale situazione “deflazionaria” nell’Europa del Sud, tuttavia, dovrà irrobustirsi la domanda interna dei paesi emergenti e della Germania, visto che non è pensabile che gli Usa, alle prese con i propri problemi fiscali, ce la facciano a lungo da soli a tirare la carretta della ripresa mondiale né ci si può aspettare granché dal Giappone.
Il biennio in chiaroscuro previsto dal Fmi illustra una cosa: in un sistema quadripolare come quello attuale più che un equilibrio di forze si realizza un equilibrio fra massime debolezze.
Ed è già chiaro chi pagherà il conto.