Con il voto del 25 febbraio l’Italia ha imboccato definitivamente il suo personale tornante della storia che più volte abbiamo preconizzato su questo blog. Poiché il futuro è denso di incognite, dovremmo ricordarci alcune cose per non perdere definitivamente la bussola.
1) La posizione patrimoniale sull’estero dell’Italia, secondo i dati diffusi da Bankitalia il 21 febbraio scorso, risultava, alla fine del terzo trimestre 2012 negativa per 351,7 miliardi, il 22,4% del Pil;
2) Il debito estero complessivo, secondo i dati di Bankitalia del settembre 2012, ammonta a oltre 1.883 miliardi, una buona parte del quale, pari a circa 695 miliardi, è debito delle amministrazioni pubbliche. Ossia la quota di debito che collochiamo all’estero per finanziare il nostro debito pubblico. Il resto è debito nei confronti di autorità monetarie, istituzioni finanziarie e investimenti diretti;
3) Il debito pubblico complessivo delle amministrazione centrali, quindi senza considerare quello degli enti locali e territoriali, al dicembre 2012 era di circa 1.881 miliardi;
4) Dai dati di Bankitalia desumiamo che il 36,94% del nostro debito pubblico viene collocato all’estero: è lì che si annidano in gran parte le turbolenze dello spread.
5) A fine 2011 (dati Bankitalia) la ricchezza finanziaria delle famiglie italiane, ossia il nostro risparmio, era di circa 3.200 miliardi, in calo del 3,4% sul 2010. Se a questa cifra sottraiamo le passività, 900 miliardi (in aumento del 2,1% sul 2010), la ricchezza finanziaria netta a livello macro arriva a circa 2.300 miliardi;
6) Si calcola che circa l’11% del debito pubblico italiano sia direttamente in mano alle famiglie. Quindi 100 e passa miliardi.
Stando così le cose, dovremmo ricordarci che ogni aumento di spread ha un’influensa diretta sul costo del debito, che si ripercuote anche sugli anni a venire. L’unica soluzione per frenare il ricatto dei mercati internazionali, giustamente preoccupati dell’andamento dei loro investimenti, è capire che abbiamo i soldi per ricomprarci almeno il nostro debito estero che incide sul debito pubblico.
Se vogliamo liberarci dal ricatto dello spread dobbiamo pagare il conto. E comprarci il diritto a decidere il nostro futuro. Chi teme che così facendo si possa andare incontro alla temibile deflazione che affligge il Giappone dovrebbe notare che la recessione italiana è in corso da anni. In deflazione, praticamente, ci siamo già. Con l’aggravante che tale circostanza non riguarda il livello generale dei prezzi, che anzi crescono più della media Ue, ma i fattori produttivi e il prodotto finale. Che è peggio.
In pratica dobbiamo adottare una soluzione alla giapponese. Il Giappone ha un rapporto debito/Pil che si avvia a superare il 240%, che rimane sostenibile perché la quasi totalità del debito è in mano ai residenti. Il Giappone ha anche una moneta sovrana e una banca centrale, che può liberamente acquistare debito pubblico. E questo è un vantaggio che noi non abbiamo. Ma ne abbiamo altri.
Abbiamo alle spalle una ricchezza patrimoniale e finanziaria fra le più alte del mondo, che quota otto volte il reddito, e un livello di indebitamento medio (circa il 70% del reddito) che è il più basso fra i paesi avanzati.
E’ il momento utilizzare questi vantaggi.
Prima che sia troppo tardi.