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Le divisioni fra Stati e la posizione dell’Italia sul budget europeo

Alla fine delle lunghe notte di Bruxelles, non sorge sempre il sole. Non si realizzeranno, in breve, quelle che nel titolo di uno dei più bei romanzi di Romain Gary venivano chiamate Les Promises de l’Aube, le promesse dell’alba.

Il negoziato sul ‘bilancio quadro europeo’ per il prossimo settennato si sarebbe dovuto chiudere un paio di mesi fa, ma le differenze erano tali che è proseguita la trattativa tecnica – a livello delle diplomazie finanziarie guidate dalle Rappresentanze Permanenti – per tentare di giungere a soluzione nel Consiglio Straordinario dei Capi di Stato e di Governo in corso al momento viene scritta questa nota (le otto del mattino dell’8 febbraio 2012). La trattativa è ripresa alle 8,30 dopo una nottata di negoziati en petit comité (secondo il gergo comunitario) che ha portato ad una bozza di compromesso.

Secondo quanto appreso da Formiche.net, la bozza di compromesso sul bilancio elaborata nella notte dal Presidente del Consiglio UE Van Rompuy, il tetto complessivo di spesa sarebbe pari a 960 miliardi di euro per gli impegni e 908,4 per i pagamenti effettivi. L’Italia avrebbe suggerito ‘il metodo Andreatta’ (da nome del Ministro del Tesoro che per primo lo ha praticato): già nel ‘preventivo‘ contemplare uno scarto tra  ‘competenza’ e ‘cassa’- da realizzare ritardando i pagamenti, specialmente negli ultimi di mesi dei vari anni d’esercizio.

La cifra di 960 miliardi di euro per i cosiddetti ‘impegni’ è di 11,9 mld inferiore a quella proposta da Van Rompuy nel vertice di novembre scorso che finì con un nulla di fatto. La somma di 908,4 miliardi è per i ‘pagamenti’, ovvero l’effettiva liquidità a disposizione per le politiche europee fra il 2014 ed il 2020. I 960 miliardi sono la stessa cifra proposta verbalmente da Van Rompuy in apertura del vertice.

La seconda è a metà strada fra le due ipotesi di inizio serata (fra 903 e 915 miliardi). Nella proposta non sarebbe indicata la clausola di ‘ flessibilità’ richiesta dal Parlamento europeo al fine di rendere più agile i trasferimenti da un grande capitolo di spesa ad un altro.

Dal Segretariato del Consiglio Europeo si spiffera – ma nessuno vuole essere citato – che  il lungo lavoro notturno si è reso necessario per rivedere la suddivisione tra i capitoli di spesa (agricoltura, coesione, infrastrutture, servizio diplomatico, amministrazione, ecc.) e la ripartizione del ‘peso’ degli sconti di cui godono paesi come Gran Bretagna, Germania, Olanda, Danimarca e Svezia. In effetti, non solamente il bilancio pluriennale europeo resta ben al di sotto delle aspettative dei federalisti, quale delineata ad esempio del volume del 2006 (scritto alla luce delle conclusioni della precedente trattativa ) di Maria Teresa Salvemini e Oliviero Pesce  ‘Bilancio Europeo per una Politica di Crescita

Formiche.net ha documentato il 6 febbraio che le differenze importanti riguardano la percezione del bilancio comunitario. La Gran Bretagna vuole avere indietro ‘i soldi’ che dà, o almeno non rimetterci. Quella posizione è stata presa ai tempi della Thatcher e non l’hanno mai abbandonata. La Germania, invece, ha un approccio cooperativo ma concorda sul fatto che il bilancio Ue deve produrre di più e ridurre la spesa. Gli altri Paesi credono che per crescere sia necessario avere le risorse  a disposizione, con un ridimensionamento degli investimenti in diversi settori, come quello industriale e agricolo.

Si è sottolineato che gli schieramenti sono tre: nel “gruppo degli attenti” c’è la Gran Bretagna – forse l’unico Stato che vuole indietro la stessa quantità dei soldi con cui contribuisce – insieme a quelli che non vogliono spendere troppo come Svezia, Germania, Lussemburgo e Islanda, per esempio. Dopo c’è il “gruppo della crescita”, del quale fanno parte Italia, Spagna, Belgio, Portogallo, Irlanda e sicuramente la Grecia. Il “gruppo della redistribuzione” è costituito dai Paesi Baltici, Slovenia, Ungheria e la Repubblica Ceca.

Nel progetto di bilancio che si sta mettendo a punto, il tentativo è di soddisfare i due gruppi più  che difendono la ‘politica agricola comune’ e la ‘politica di coesione ‘ (sono i due più aggressivi) a spese degli altri (interessati, invece, a questo o quel capitolo del bilancio e più frammentati dei primi due). Ne risulterebbe un bilancio in cui i ‘tagli’ riguarderebbero principalmente programmi per i giovani (come ‘Erasmus”), la ricerca, l’innovazione. Il Parlamento Europeo (che voterà a voto segreto senza seguire necessariamente linee nazionali o di partito) ha già fatto sapere che un bilancio così predisposto non avrebbe il suo assenso.

L’Italia è entrata nel negoziato seguendo una posizione ‘ragionieristica: vogliamo che l’apporto europeo sia pari al nostro contributo. Siamo stanchi di essere i terzi maggiori finanziatori della macchina europeo. Tanto più che il nostro ‘indice di prosperità relativa (quale elaborato a Bruxelles) è circa 96 (era 105 alla precedente tornata, nel 2005) , ben quattro punti sotto la media europea, rispetto al 132 della Danimarca, al 131 della Danimarca, 129 dell’Austria, al 125 della Germania, al 114 della Finlandia. Pare che non siamo stati convincenti, soprattutto a ragione della scarsa ‘ performance‘ (bassa spesa, vertenze penali) in materia di fondi strutturali. Monti e Moavero rientrerebbero a Roma con un impegno a restare contributori netti per 3.5-4 mld l’anno nei prossimi sette, rispetto ai 4 l’anno del settennato precedente.

Impatti sull’euro? Se la lite diventa troppo dura è possibile che la moneta unica abbia contraccolpi, in termini non di deprezzamento ma di accresciuti timori di spappolamento. Inevitabile una ripresa dello spread come peraltro anticipato in un lavoro di quattro economisti nel CEPR Discussion Paer No DP92229.

Pleonastico dire che su piano interno ciò non potrà non avere effetti sulle due ultime settimane di campagna elettorale.

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