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La difficile transizione indiana

Pubblichiamo l’executive summary sull’India del rapporto annuale dell’Osservatorio strategico del Centro militare di studi strategici militari (CeMiSS) che è stato presentato oggi a Palazzo Salviati di Roma. Il testo raccoglie la produzione sviluppata per ognuna delle 13 aree monitorate nel 2012 e fornisce un quadro prospettico e previsionale nel breve termine.

In India sta finalmente volgendo al termine uno degli anni più difficili per il subcontinente. Eppure, gli ultimi 12 mesi potrebbero aver solamente gettato le basi per un futuro, se possibile, ancora più instabile e incerto. La sfida più difficile che si trova ad affrontare New Delhi è quella delle elezioni generali in programma per il 2014, non tanto per l’incertezza dell’esito elettorale, quanto per il contesto in cui le consultazioni verranno organizzate. I partiti che si contenderanno la leadership potrebbero (per la prima volta nella storia politica del subcontinente) essere tre: il Partito del Congresso, il BJP (Bharatiya Janata Party) e una coalizione ancora non ben definita di leader regionali.

Molti elementi lasciano intuire che nessuno schieramento, per motivi diversi, potrebbe essere in grado di ottenere la maggioranza necessaria per approvare le riforme di cui l’India ha bisogno per risolvere una serie di problemi interni economici e sociali, ridefinendo le direttrici di una politica estera regionale che dovrà necessariamente essere modificata alla luce del ritorno degli Stati Uniti in Asia e del ritiro delle truppe Nato dall’Afghanistan.

Per quanto queste due evoluzioni di politica estera vadano analizzate con attenzione per l’impatto che inevitabilmente avranno sulle relazioni internazionali dell’India, sono le difficoltà di ordine interno quelle che potrebbero far crescere in maniera esponenziale il tasso d’instabilità del subcontinente.

La crisi economica internazionale e la conseguente riduzione delle importazioni dell’Occidente hanno colpito una nazione già in difficoltà perché ancorata ad un modello di sviluppo che, nonostante i tassi di crescita incoraggianti registrati dagli anni ‘90 in poi, non è ancora riuscito a risolvere una serie di problemi strutturali, quali l’approvvigionamento energetico e il potenziamento della rete infrastrutturale, che, se trascurati troppo a lungo, rischiano di annullare le potenzialità di un mercato promettente.

Questa situazione di partenza è stata ulteriormente peggiorata dalla scarsa propensione della classe dirigente indiana ad approvare riforme. Una tendenza che, in un contesto di crisi globale, ha spinto numerosi investitori stranieri a ritirare capitali dal paese e ha invogliato chi voleva entrarci a cambiare destinazione, peggiorando le prospettive di sviluppo e di bilancio dell’India. Per questo il governo di New Delhi ha tentato d’approvare in fretta una serie di riforme. A ridosso delle elezioni generali battersi per riforme impopolari è rischioso, ma lo è ancora di più limitarsi a osservare passivamente il rapido declino del paese.

La maggioranza ha scommesso sulle riforme: se in un anno convincerà la nazione che il loro impatto sarà positivo, potrà assicurarsi la rielezione. In caso contrario, si confronterà con le altre forze politiche senza rischiare di essere accusata di aver irresponsabilmente abbandonato l’India al suo destino.


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