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La (passata, presente e futura) credibilità dei giornalisti candidati

Sono tanti i giornalisti che hanno deciso di candidarsi alle prossime elezioni politiche. Molti di loro hanno chances di diventare parlamentari, altri rischiano di correre a vuoto. La verità è che tutti i giornalisti candidati hanno gettato la maschera, schierandosi per un partito politico che, evidentemente, hanno tentato di favorire anche prima di scendere in campo. Esistono, è vero, forze politiche neonate, che si accingono al battesimo elettorale…ma si tratta in ogni caso di formazioni politiche capeggiate da personaggi che hanno avuto ruoli di primo piano nella vita pubblica (in politica, nella magistratura e altrove…) almeno da un anno a questa parte. Rimane, dunque, il sospetto che questi giornalisti candidati abbiano già da tempo parteggiato per i loro futuri leader di partito, difendendone posizioni e condividendone battaglie.

Ho molto condiviso le obiezioni di Ferruccio de Bortoli rispetto alla candidatura di Mucchetti, autore di libri assai ben documentati e, apparentemente, super partes…, su temi assai spinosi come i conflitti di interesse, il ruolo improprio delle banche e dei poteri finanziari nella proprietà dei media, la mancanza di editori “puri”, ecc.. Siamo sicuri che l’azione politica dell’eventuale (probabilissimo) senatore Mucchetti possa mantenere tali margini di autonomia dimostrati in passato? Esprimo convinte riserve rispetto alla candidatura politica dei giornalisti, soprattutto se questi soggetti, in caso di non elezione, tornano a fare i giornalisti, cosa peraltro inevitabile. Chi si fiderà più della loro attendibilità e credibilità? Siamo sicuri che la partigianeria dimostrata durante la campagna elettorale, e, forse, già prima…, possa lasciare il posto al rispetto dei principi deontologici di neutralità, obiettività e attenzione alla verità sostanziale dei fatti? Mi riferisco anche a quei giornalisti che, dopo varie esperienze politiche e dopo anni di aspettativa in Rai, tornano nella tv pubblica. Con quale onestà intellettuale approcceranno le notizie, elaboreranno i commenti, applicheranno norme come la par condicio o i codici deontologici che lodevolmente l’Ordine dei giornalisti ha elaborato negli ultimi decenni?

Queste considerazioni mi vengono sollecitate da una ricorrenza…il primo, e speriamo non ultimo, mezzo secolo di vita dell’Ordine dei giornalisti, un Ordine assai discusso per la sua presunta inutilità, e che certamente merita una revisione nei meccanismi di funzionamento. Avrebbe certamente il plauso degli attenti osservatori del mondo dell’informazione una presa di posizione energica e autorevole dell’Ordine rispetto al fenomeno dei giornalisti che si candidano e che, attraverso un discutibile meccanismo di porte girevoli, in caso di mancata elezione tornano a fare i giornalisti. E’ un problema di credibilità, che passa sotto silenzio in un Paese dove molti giornalisti non vedono l’ora di indossare l’elmetto e di schierarsi da una parte o dall’altra.

Non si può impedire ai giornalisti non eletti o a quelli eletti e, successivamente, non ricandidati o non riconfermati,di tornare a fare il loro lavoro, ci mancherebbe altro…Si potrebbe, però, stabilire un periodo di decantazione post-militanza politica, al fine di non ingenerare nell’opinione pubblica l’idea di una deprecabile contiguità tra il mondo della politica, che è lotta di parte, e il mondo dell’informazione, che è garanzia di un diritto di tutti, quello ad essere correttamente informati.

 


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