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La strategia degli scandali. Giù le mani dall’Italia!

Dapprima è stata Finmeccanica, poi Ilva, Banca Monte dei Paschi, Alitalia, Banca d’Italia e ora Eni.

Come accadde durante la lunga vigilia delle elezioni del 1994, sia pure con differenze non banali, l’Italia è in una fase complicata di instabilità e probabile cambio di regime.

Oggi come allora, dietro le schermaglie politiche e giudiziarie, si muovono interessi economici molto rilevanti e non sempre trasparenti.

Nel passaggio dalla prima alla seconda Repubblica il Paese ha perso per strada un pezzo non irrilevante della sua capacità industriale e finanziaria. Alcuni comparti chiusero i battenti prematuramente (la chimica, per esempio) altri furono oggetto di una non troppo delicata colonizzazione.

Nel tempo, in questi vent’anni, le cose non sono migliorate, anzi. Nonostante tutto però il sistema imprenditoriale italiano – basato su un particolarissimo mix di pubblico e privato, di multinazionali tascabili e micro aziende – ha dimostrato di saper essere competitivo.

Siamo bravi, diciamocelo, e siamo considerati concorrenti potenzialmente temibili. Non si capisce però per quale assurda ragione, in Italia e solo in Italia, quando i magistrati compiono il loro dovere accertando ipotesi di reato, i nostri media e i nostri politici gridano immediatamente allo scandalo alimentandolo oltre il ragionevole.

L’interesse nazionale è un concetto sempre più sfocato e semmai un obiettivo sempre più anelato. C’è qui vuole svendere quel poco che è rimasto nel Paese, annientando le residue speranze di indipendenza economica.

C’è chi favoreggia questo piano magari in buona fede, mosso dalla collera per la cattiva amministrazione delle cose pubbliche. Attenzione però: se si confondono le responsabilità personali – che vanno perseguite con il massimo della serenità – con l’immagine e la credibilità delle imprese e delle istituzioni finanziarie italiane, il rischio è altissimo.

E’ quello che sta accadendo da qualche settimana e ancora in queste ore. Eni, Mps e Alitalia sono, per dirla alla Bersani, beni pubblici. Chi ha sbagliato, se ha sbagliato, paghi e paghi senza alcuno sconto.

Ma evitiamo di scaricare i costi degli errori italiani e degli interessi stranieri sul Paese. Non lo meritiamo.



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