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Con Monti e Vendola l’Italia sarà governabile. Parola di D’Alimonte

Niente paura. La domanda che in molti si pongono a pochi giorni dal voto e di fronte all’ipotesi più probabile per il post, ovvero un governo di progressista aperto, volente o nolente, alle forze centriste, è questa: come farà Pierluigi Bersani a far convivere sotto lo stesso tetto Mario Monti e Nichi Vendola? Al quesito risponde oggi, intervistato dal Mattino, il politologo ed editorialista del Sole 24 Ore, Roberto D’Alimonte: se Bersani non avrà la maggioranza anche al Senato dovrà “cercare sponda al Centro” ma non c’è pericolo di ingovernabilità perché gli attacchi reciproci tra Monti e Vendola sono “schermaglie. Il governatore della Puglia è pragmatico. Né Vendola, né Monti, si prenderebbero la responsabilità di far tornare il Paese alle urne”.

Secondo l’esperto di flussi elettorali, “nessuno, a maggior ragione Monti, ha l’intenzione di proiettare all’esterno un’immagine di scarsa stabilità e affidabilità”. E per rendere l’esecutivo più forte, D’Alimonte suggerisce, Monti dovrebbe entrare al governo perché anche “l’appoggio esterno lo indebolirebbe”.

E vista la probabile inevitabilità di un accordo tra Monti e il centro sinistra con cui dice di non avere “nulla in comune”, oggi sull’Unità Emanuele Macaluso scrive una lettera al Professore in cui lo invita a essere coerente perché “anche in politica come in economia due più due fa quattro”. E ribadisce l’interrogativo che aveva già posto a lui e ai suoi futuri alleati in un editoriale lunedì: “Non è arrivato il momento per Monti, Bersani e Vendola di dire agli elettori come stanno le cose e cioè che l’accordo tra i due schieramenti è obbligato dai fatti e spiegare cosa vogliono e possono fare insieme?”

L’ex direttore del Riformista e dell’Unità, in un post scriptum alla lettera, ricorda poi a un amico berlungueriano (e a Bersani) una lezione dell’indimenticato segretario del Pci: “Berlinguer scrisse e disse ripetutamente che se si vogliono fare riforme incisive non si può governare con il 51%. Enrico parlava del 51% dei votanti in carne e ossa e non di deputati che siedono in Parlamento grazie al premio di maggioranza ottenuto con il 35% dei voti”.



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