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Progresso civile ed economia sociale di mercato

Un aspetto rilevante del cosiddetto modello di economia sociale di mercato è il ruolo che i suoi padri assegnano alla riflessione sul rapporto tra etica ed economia. L’economista tedesco Alfred Müller-Armack, nel saggio Il moralista e l’economista. Sulla questione dell’umanizzazione dell’economia, (L’economia sociale di mercato e i suoi nemici, F. Forte – F. Felice – C. Forte eds., Rubbettino, 2012), assume il possibile dialogo tra gli studiosi delle teorie morali e gli scienziati economici, proponendo l’esigenza di una sintesi che sappia rispondere alle esigenze concettuali di entrambi.

In breve, Müller-Armack non teorizza un’etica della rigida segregazione disciplinare, ma neppure una vaga interdisciplinarità: due nemici sul fronte metodologico dai quali l’economista tedesco intende prendere decisamente le distanze.

Volendo sintetizzare, in tema di rapporto tra etica ed economia, possiamo considerare due macro approcci, il primo che definiremmo “etica dell’addizione” ed un secondo che chiameremmo “etica della sostituzione”. Nel primo caso, non si farebbe altro che giustapporre ed aggiungere questioni di ordine deontologico all’armamentario classico della disciplina che si intende “moralizzare”. Nel secondo caso, si ritiene che la presenza dell’elemento morale comporti la riduzione di quell’armamentario, in quanto l’etica sarebbe in contraddizione con l’ordinario agire economico. I due approcci sostengono la tesi che la prospettiva etica sia, rispettivamente, un elemento accessorio, ovvero alternativo, rispetto alla dimensione economica. In definitiva, condividono una nozione di etica come insieme di regole e di divieti, un codice deontologico al quale è doveroso, oppure opportuno in quanto utile, attenersi. Diversamente, Müller-Armack e, più in generale, la prospettiva dell’economia sociale di mercato sembrerebbe proporre un puntuale approccio transdisciplinare che non giustappone in modo asettico le questioni etiche a quelle economiche né sostituisce, confondendole, le une alle altre. Quanto, piuttosto, propongono un approccio alle questioni economiche che attraversa le singole discipline, nel loro oggetto comune: l’homo agens, e lega tra loro le questioni ritenute rilevanti sulla base di una prospettiva antropologica dichiarata: la centralità ontologica, metodologica e morale della persona, e quindi di un ideale di società contraddistinto dai principi di libertà e di giustizia ad essa conformi. In breve, un metodo che si mostri attento a cogliere la reciproca influenza che ciascuna disciplina può esercitare sull’altra, in relazione al loro contenuto comune costituito dalla persona.

Per questa ragione, l’idea stessa di economia sociale di mercato è divenuta la prospettiva ideale intorno alla quale, all’indomani della seconda guerra mondiale, si ritrovarono scienziati sociali appartenenti ai circoli liberali che avevano contrastato l’avanzata del totalitarismo in Germania – il nemico per eccellenza – e fu attuata da quei politici che ritenevano che la ricostruzione postbellica sarebbe dovuta passare per una “rigenerazione dell’idea di concorrenza”, fino a quel momento umiliata dalla gestione centralizzata dei processi economici. La ricerca di un nuovo “ordine”, agli occhi di tali intellettuali e dei politici che si prefissero l’obiettivo di rendere pratica la teoria di “Ordo”, si tradusse nel tentativo di dar vita ad un ordinamento della concorrenza, attraverso il quale conciliare le esigenze dell’economia di mercato con quelle di un benessere il più diffuso possibile.

Dunque, affinché si possa parlare concretamente di progresso civile è necessario che ci si confronti con il grado di efficienza delle nostre istituzioni politiche, di quelle economiche, come ad esempio le infrastrutture, i trasporti, il settore energetico, nonché le istituzioni finanziarie che dovrebbero garantire l’ottimizzazione dell’uso del risparmio. Tutto ciò richiede alte somme di denaro che solo una prospera economia di mercato è in grado di procurare. Di contro, lo scienziato economico, l’imprenditore e il politico dovranno pensare in termini globali e multidimensionali, dovranno dimostrare di sapersi assumere una responsabilità a più livelli di fronte alle prevedibili conseguenze delle loro scelte sul piano politico, economico e finanziario e di saper reagire in modo adeguato di fronte alle pur sempre presenti conseguenze non intenzionali. Economisti, imprenditori e politici, pur senza negare la funzionalità delle leggi economiche che sono tenuti ad implementare, non potranno mai trascurare la prospettiva etica ed insieme agli esperti di morale dovranno sempre tendere verso una soluzione istituzionale che sappia soddisfare le esigenze di giustizia sociale, di libertà personale e di formazione democratica del consenso politico:

 


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