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I mancati traguardi della regione adriatico-danubiana-balcanica

Pubblichiamo l’executive summary sulla “Regione Adriatico-Danubiana-Balcanica″ del rapporto annuale dell’Osservatorio strategico del Centro militare di studi strategici militari (CeMiSS) che sarà presentato il 27 febbraio al Palazzo Salviati di Roma. Il testo raccoglie la produzione sviluppata per ognuna delle 13 aree monitorate nel 2012 e fornisce un quadro prospettico e previsionale nel breve termine.

Il 2012 è stato un anno che ha segnato l’ulteriore aggravarsi della crisi dello spazio geopolitico dell’Europa Sud Orientale, aumentando il processo di destrutturazione della regione euroatlantica, che si estende dal Golfo di Fiume al Golfo di Alessandretta, dalla Slovenia mitteleuropea alla Turchia anatolica.

L’anno che si è appena concluso ha visto rafforzarsi le dinamiche centrifughe, sia quelle extraregionali, che spingono i paesi dell’area a ruotare attorno a baricentri geopolitici differenti, sia quelle interne alle statualità più deboli, che ne impediscono il completamento dei processi di state building.

Dal punto di vista economico, la regione continua a sperimentare un processo d’indebolimento della presenza europea rispetto ad un decennio fa, quando la “nuova Europa” emergeva come l’area di integrazione privilegiata per i Paesi della UE. L’annuncio dell’avvio, a fine 2012, della costruzione del gasdotto South Stream (che attraverserà Bulgaria, Serbia, Ungheria e Slovenia) rafforza ulteriormente gli interessi russi nella regione e influirà sul concetto di sicurezza energetica dei membri più orientali dell’Alleanza Atlantica.

Sul piano politico, pochi sono stati i progressi del processo di allargamento della UE – la concessione dello status di “paese candidato” a Serbia (marzo 2012) e Montenegro (giugno 2012) – sostanzialmente siamo di fronte ad un vero e proprio stallo, che i paesi dell’Europa Sud-Orientale leggono come un segnale di disinteresse politico-strategico. Per il prossimo biennio, a parte l’adesione della Croazia (prevista per il luglio 2013, anche se sorprese potrebbero giungere dai processi parlamentari di ratifica), non si prevedono significativi traguardi.

Il principale cambiamento nel quadro politico interno si è avuto in Serbia, con la sconfitta del presidente filo occidentale Tadic e l’ascesa alla presidenza del leader dei nuovi nazionalisti filo russi Nikolic e del primo ministro Dacic, già legato ai socialisti di Milosevic. La nuova configurazione politica a Belgrado influenzerà i due focolai d’instabilità regionali ancora attivi nella regione, quello del Kosovo e quello della Bosnia Erzegovina.

Per la Bosnia Erzegovina il 2012 è stato un anno di vacatio del governo centrale, a causa del blocco politico del paese dovuto ai veti incrociati delle tre nazionalità riconosciute dalla Costituzione di Dayton che dimostrano, a quasi 20 anni di distanza dagli accordi di pace, di non voler convivere assieme in un unico Stato.

L’altra zona a rischio instabilità della regione, il Kosovo, ha mostrato nel 2012 tendenze contrastanti. Da un lato un proseguimento delle contrapposizioni e degli incidenti con la comunità serba del Nord, che non vuole cedere il proprio controllo de facto del territorio a Pristina, dall’altro l’avvio di negoziati politici, sotto egida UE, tra Serbia e Kosovo su numerose questioni di comune interesse, inclusa la rappresentanza regionale.

All’altro estremo sudorientale della regione la Turchia ha compiuto un processo di ulteriore alienazione dallo spazio europeo-balcanico, lasciandosi risucchiare dalla conflittualità siriana che è coincisa con un ritorno delle attività terroriste del PKK e con una ulteriore “mediorentalizzazione” della propria politica estera. La nuova fase di contenziosi aperti con Cipro ed Israele sulla questione delle esplorazioni di idrocarburi nel Mediterraneo Orientale ha contribuito a rendere inutilmente spigolosa l’azione politica di Ankara. Più in generale, è l’intera politica estera dell’AKP ad avere avuto numerose defaillance nell’ultimo biennio, che potrebbero avere conseguenze sulle dinamiche politiche interne e sulle elezioni presidenziali del 2014.

Paolo Quercia è un analista di relazioni internazionali, esperto di questioni geopolitiche, strategiche e di sicurezza.

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