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La scelta della Cina

Pcc

Pubblichiamo l’executive summary sulla Cina del rapporto annuale dell’Osservatorio strategico del Centro militare di studi strategici militari (CeMiSS) che è stato presentato ieri a Palazzo Salviati di Roma. Il testo raccoglie la produzione sviluppata per ognuna delle 13 aree monitorate nel 2012 e fornisce un quadro prospettico e previsionale nel breve termine.

La Cina è un paese in bilico tra un ritorno al passato, che significherebbe stagnazione economica e instabilità politica; una nuova fase di riforme politiche ed economiche che potrebbero consentire al paese una nuova era di crescita politica e di sviluppo interagendo efficacemente con un fluido equilibrio internazionale e regionale.

La chiave di tale evoluzione risiede nella capacità della nuova leadership, uscita dal XVIII Congresso del Partito Comunista (PCC), di avviare il cantiere delle riforme politiche, il che significa allargare il perimetro della società civile e ribilanciare quello dello Stato-Partito con le seguenti misure:

– pluralismo politico;
– garantire e rispettare l’indipendenza della magistratura;
– separazione dei poteri;
– garantire ai cittadini cinesi i diritti presenti nella costituzione;
– stato di diritto;
– promuovere il benessere e la giustizia sociale: cioè il welfare state;
– combattere la corruzione, sottoprodotto di un sistema politico bloccato.

Senza queste riforme politiche sarà impossibile per la quinta generazione poter metter mano anche a quelle riforme economiche che consistono nel:
– ridare fiato, anche finanziario, alle piccole e medie imprese,
– ridurre il peso (ormai asfissiante) delle imprese di stato,
– agganciare la crescita ai consumi interni,
– potenziare il sistema scolastico ed universitario perché possa produrre ricerca scientifica ed innovazione tecnologica.

Il nodo è tutto politico. Sarà in grado l’attuale leadership di avviare ad un processo di autolimitazione del proprio ruolo e del proprio potere, trasformando il monopolio del partito comunista cinese in un più ampio pluralismo politico regolato? È improbabile.

Cosa è realistico aspettarsi? I profili dei nuovi sette membri del Comitato Permanente del Politburo, il sancta sanctorum della politica cinese, tendono a far pensare che siano stati scelti perché conservatori in politica ed innovatori in economia. Il loro compito, dunque, potrebbe essere quello di mantenere intatto il potere del partito e nel contempo rilanciare l’economia. Nuove riforme economiche apportano nuova crescita; maggiore ricchezza si traduce in maggiore legittimazione politica per il partito.

L’evoluzione del paese è giunta ad un livello tale che qualsiasi riforma, anche la più neutra in campo economico o sociale, ha come effetto quello d’intaccare la sfera politica, riducendo il peso del partito. Tuttavia un tale percorso appare irto di difficoltà.

Nella più classica tradizione marxista, conosciuta dal PCC, non c’è riforma economica che non sia anche una riforma politica. Poiché tutte le riforme economiche e politiche di cui il paese avrebbe bisogno sono in antitesi totale con il monopolio del partito comunista cinese, c’è il serio rischio che oggettivamente il partito diventi un ostacolo sulla via dell’affermazione degli interessi di vasti strati sociali e popolari e quindi della Cina stessa.

Ammettendo l’ipotesi che non si compiano riforme significative, la crescita si farà sempre più debole e il malcontento aumenterà: in una situazione politica bloccata, ne seguirà una ripercussione negativa diretta sul Partito Comunista Cinese.

Nunziante Mastrolia è analista del CeMISS

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