Non solo Europa nel primo viaggio di John Kerry nelle vesti di segretario di Stato americano. Nell’agenda c’è anche un itinerario mediorientale che, iniziando dalla Turchia, toccherà anche l’Egitto, l’Arabia Saudita, gli Emirati Arabi Uniti e il Qatar.
Cambiando la rotta intrapresa dal suo predecessore Hilary Clinton che, nel febbraio 2009 aveva scelto l’Asia come meta dove inaugurare il suo percorso diplomatico, Kerry incontrerà gli alleati statunitensi nella regione per parlare soprattutto della questione siriana, della sfida iraniana e delle complicate transizioni politiche in corso. Quest’ultimo tema sarà affrontato trasversalmente, pensando a tutti i Paesi attraversati dalle Primavere arabe.
Da Ankara a Doha: gli alleati nella regione
Visti il crescente numero di rifugiati siriani che continua ad arrivare sul territorio turco – oltre 182mila secondo i dati del governo – e i sempre più frequenti richiami verso un sostegno militare all’opposizione siriana, Damasco sarà al centro dell’agenda di Ankara. A questo tema si affiancheranno discussioni sulla cooperazione bilaterale in materia di contenimento del terrorismo. Inoltre, si parlerà della possibile ripresa dei rapporti diplomatici tra Turchia e Israele e delle prospettive del processo di riconciliazione tra le fazioni palestinesi di Hamas e Fatah.
Al Cairo, dove il presidente Mohammed Mursi ha annunciato che dal 22 aprile inizieranno le elezioni parlamentari, Kerry incontrerà diversi protagonisti dello scenario politico egiziano. A questi chiederà di superare la polarizzazione che divide le forze di governo islamiste da quelle di opposizione, al fine di arrivare a un consenso nazionale che possa incoraggiare le riforme economiche. Il segretario di Stato approfitterà della tappa egiziana per incontrare anche Nabil El-Araby, il segretario della Lega Araba con il quale discuterà soprattutto del processo di pace in Medio Oriente.
La successiva fermata di Kerry sarà Riyad, capitale con la quale lo scorso anno Washington ha condiviso un volume di scambi commerciali pari a 60 miliardi di dollari. Qui incontrerà la leadership saudita per discutere di cooperazione bilaterale in importanti settori e parteciperà a un incontro ministeriale con i suoi omonimi dei paesi del Consiglio della Cooperazione del Golfo. Da qui si sposterà negli Emirati Arabi Uniti e in Qatar, dove, visti anche gli interessi e gli investimenti dall’emiro nella Striscia di Gaza e l’influenza di Doha sul movimento di resistenza palestinese Hamas, si affronterà la questione del conflitto israelo-palestinese e della riconciliazione nazionale tra la Cisgiordania e Gaza.
Anche se in un primo programma erano previste tappe in Israele, nei territori Palestinesi e in Giordania, il 7 marzo Kerry riatterrerà a Washington, dove avrà due settimane di tempo per aiutare il presidente Barack Obama a preparare il suo viaggio in questi paesi, atteso per il 20 marzo.
Il primo viaggio del presidente Obama in Israele
Per comprendere la decisione di Kerry di non fermarsi a Tel Aviv, bisogna considerare le grandi aspettative, regionali e internazionali, che accompagneranno Obama nella sua prima visita nelle vesti da presidente in Israele. Anche se la Casa Bianca sta cercando di placare le attese, annunciando che il viaggio del presidente non mira a rilanciare il processo di pace o a presentarne uno nuovo, molti si aspettano una presa di posizione da parte di Obama sulla questione delle colonie israeliane nei territori palestinesi e sulla mancata ripresa del dialogo, ormai interrotto dal settembre 2010, tra il governo e l’Autorità nazionale palestinese (Anp).
A spiegare il temporeggiamento della diplomazia statunitense è anche il processo, tutt’ora in corsa, di creazione del prossimo governo di coalizione israeliano. A più di un mese dalle elezioni si può solo speculare sulla composizione finale del prossimo esecutivo, un’incertezza politica che dovrebbe però dissiparsi entro le prossime settimane. Lo stesso Kerry, all’indomani della sua inaugurazione, ha parlato a lungo al telefono con il presidente israeliano, Shimon Peres, il quale ha illustrato le diverse formazioni di governo che potrebbero prendere forma a seguito delle contrattazioni post-elettorali. Ad oggi, l’unica certezza è che l’ex-ministro degli esteri, Tzipi Livni, ha accettato l’incarico di capo negoziatore israeliano sulla questione palestinese, divenendo anche ministro della giustizia nel prossimo governo che, salvo imprevisti, sarà guidato ancora una volta da Benjamin Netanyahu.
Anche se indubbiamente se ne parlerà a lungo durante i colloqui con il presidente dell’Anp e con il sovrano giordano, la questione palestinese non è il tema principale dell’agenda della visita di Obama. Centrale sarà invece la questione del nucleare iraniano, al quale si affiancherà quello della crisi siriana e la questione del contrabbando di armi dal Sinai egiziano verso Gaza.
La pressione sugli Ayatollah
Sulla discussione iraniana pesa molto la divergenza di opinioni tra il governo statunitense e quello guidato da Netanyahu il quale ha più volte dichiarato come le sanzioni economiche imposte contro il regime di Teheran non siano in grado di arrestare il programma nucleare iraniano, esortando Obama a non scartare l’opzione militare e a tenere alta la pressione sugli Ayatollah.
Il premier israeliano non sembra avere intenzione di dimenticare la ‘linea rossa’ illustrata nel suo discorso all’Onu del settembre scorso, quando dichiarò che Israele non poteva accettare che l’Iran arrivasse ad arricchire abbastanza uranio per costruire una singola bomba atomica. Nonostante le importanti differenze di opinioni, secondo Israele la ‘linea rossa’ sarà oltrepassata nel corso di questa estate. Nella sua prossima visita, Obama farà quindi il possibile per tentare di contenere il proprio alleato israeliano, dissuadendolo da eventuali azioni unilaterali. Inoltre, il 14 luglio si terranno le elezioni presidenziali in Iran. Secondo Washington, questo è un motivo in più per non buttare altra benzina sul fuoco.
Sul versante siriano ci si aspetta che Obama, affiancato dallo stesso Kerry, illustri i risultati del viaggio del neo-eletto segretario di Stato, e, in maniera particolare, quelli dell’incontro del Gruppo di alto livello sulla Siria, in programma a Roma il 28 febbraio.
Infine, altra questione centrale sarà quella del contrabbando di armi. Obama potrà illustrare i risultati ottenuti dalla diplomazia statunitense con il governo egiziano in seguito alla tregua siglata tra Israele e Hamas il novembre scorso. Il Cairo ha infatti di recente aumentato le proprie azioni di contrasto lungo i confini della Striscia di Gaza, sequestrando una quantità importante di materiale bellico diretto verso la Striscia e allagando molti dei tunnel sotterranei che collegano questa al Sinai egiziano.
Andrea Dessì è laureato in storia e politica del Medio Oriente presso la School of Oriental and African Studies di Londra, e ha ottenuto la laurea specialistica in Conflict, Security and Development presso la King’s College London. Attualmente è junior researcher presso il programma Mediterraneo e Medio Oriente dello Iai.
Azzurra Meringolo è dottoressa in Relazioni Internazionali presso l’Università di Bologna. Ha ottenuto il dottorato con una tesi su “L’anti-americanismo egiziano dopo l’11 settembre: governo e opposizione nello specchio dei media”, che e si è aggiudicato il premio Maria Grazia Cutuli. È autrice di “I Ragazzi di piazza Tharir” e vincitrice del premio giornalistico Ivan Bonfanti 2012.