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La teoria dei cerchi concentrici

Articolo tratto dal numero 54 (Dicembre 2010) della rivista Formiche

I primi cinque anni di pontificato di Benedetto XVI sono stati caratterizzati da attacchi provenienti da più parti. A ben vedere si deve parlare di tre cerchi concentrici: anzitutto ambienti e gruppi di potere ai quali fa comodo depotenziare il messaggio della Chiesa, mettendola sul banco degli accusati, magari sfruttando elementi indiscutibilmente gravi come nel caso dello scandalo degli abusi su minori. Il secondo cerchio è una sorta di dissenso interno contro il papa. Ratzinger, spesso definito come gretto, conservatore, retrogrado, non è visto bene da una parte di Chiesa sempre pronta ad accusarlo di non voler riformare la Chiesa, di volerla cambiare adattandola, in sostanza, ai dettami del mondo. Il terzo cerchio è composto da quegli attacchi involontariamente auto prodotti a causa delle numerose imprudenze e dei frequenti errori dei collaboratori. Tre cerchi che portano a una conclusione: Ratzinger, che piaccia o meno, è sotto attacco. La crisi più acuta è iniziata la scorsa primavera, con l’incedere delle accuse al papa di aver coperto in passato episodi di pedofilia nel clero. Ma il 10 marzo, mentre le critiche erano più pesanti, fu Ratzinger a prendere la parola in piazza San Pietro.

Qui spiegò la sua idea di governo della Chiesa. Prese esempio da san Bonaventura dicendo che per lui “governare non era semplicemente un fare, ma era soprattutto pensare e pregare”. “Per Bonaventura – disse – non si governa la Chiesa solo mediante comandi e strutture, ma guidando e illuminando le anime. Dal 10 marzo ad oggi Ratzinger non è più tornato sull’argomento. Ma di fronte alle accuse sulla gestione della Chiesa che si sono fatte sempre più importanti ha risposto mettendo in pratica l’insegnamento del teologo francescano. Ovvero lasciando un proprio “pensiero illuminato”, come vuole essere la lettera pastorale alla Chiesa d’Irlanda. Le parole sono il primo modo con cui il papa guida e indirizza la Chiesa, consapevole che la divulgazione dell’autentico pensiero cristiano è la vera “spada” portata nel mondo. Certo, Ratzinger non è il primo (e probabilmente non sarà l’ultimo) papa ad essere attaccato. Reazioni furenti al pensiero del papa avvennero già in passato. Quale l’elemento scatenante? L’idea che il papa vuole tornare indietro, a prima del Concilio, agli anni bui dell’era tridentina. Che le sue parole sono retrograde se paragonate alla cultura contemporanea. Paolo VI scrisse l’Humanae vitae e dopo un primo momento di speranza per la cultura mediatica di stampo più “liberal” divenne d’un colpo il papa del diavolo. “Il papa e il diavolo”, scrisse non a caso Vittorio Gorresio nel 1973. “La svolta di Paolo VI”, scrisse il vaticanista dell’Espresso, l’ex prete Carlo Falconi nel 1978.

Dove per svolta s’intende l’accento preconciliare che Montini volle dare al proprio pontificato con l’Humanae vitae. Le medesime accuse vennero rivolte a Giovanni Paolo II. Fino al 1989 Wojtyla era una speranza per tutti. Dopo la caduta del Muro di Berlino il suo pensiero non serviva più, e arrivarono le critiche. Con Ratzinger tutto comincia il 22 dicembre 2005. Benedetto XVI tiene il suo primo discorso alla curia romana. E lancia la sfida a coloro che vorrebbero una Chiesa non tanto “per il mondo”, o “vicina al mondo”, ma una Chiesa “del mondo”. Ratzinger parla del Concilio. Dice che non fu una rottura col passato. Spiega che chi svolge questa interpretazione altro non fa che allinearsi alla “simpatia dei mass media, e anche di una parte della teologia moderna”. “È il 22 dicembre del 2005 che tutti hanno definitivamente capito chi è Ratzinger” spiegò al quotidiano Il Foglio il primo dei vaticanisti, Benny Lai. “Fino al 2005 c’era ancora qualcuno che sperava che il primo Ratzinger, quello ritenuto più progressista, sarebbe tornato. E invece non fu così. Ma già ai tempi del Concilio in molti presero un abbaglio ritenendo che Ratzinger fosse un teologo progressista. Lo pensava anche il cardinale Giuseppe Siri. La prima volta che lo vide non ne ebbe una buona impressione. Ma poi Ratzinger dimostrò d’essere altro dall’etichetta che gli era stata appiccicata addosso inizialmente. Ed è questo cambiamento che ancora oggi dà fastidio fuori e dentro la Chiesa”. Dal discorso alla curia romana ad oggi il “Ratzinger pensiero” si è manifestato in più forme andando a scatenare la reazione indignata di diversi mondi. Andando in Africa disse che l’Aids non si può superare con la distribuzione dei preservativi. L’intellighenzia laica di mezza Europa lo attaccò. Ma aveva detto una cosa giusta: per combattere l’Aids serve un’educazione dell’uomo che lo porti a considerare il proprio corpo in modo diverso. L’opposto, insomma, di una concezione narcisistica e autoreferenziale della sessualità.

Un’altra reazione importante a Benedetto XVI si ebbe, già prima, a Ratisbona. Toccò il nesso esistente tra religione e civiltà spiegando che convertire usando la violenza è contro la ragione e Dio. La citazione di una frase di Manuele II Paleologo, secondo il quale Maometto introdusse solo “cose cattive e disumane come la sua direttiva di diffondere per mezzo della spada la fede” scatenò l’indignazione del mondo musulmano. Parte del mondo musulmano reagì indignato. Eppure le parole del papa restarono. E, infatti, il suo discorso produsse frutto. Ratzinger ferisce non solo quando parla. Ma anche quando prende decisioni che entrano nel cuore della vita della Chiesa. Tra queste, la firma del Summorum pontificum che ha liberalizzato il rito antico e la revoca della scomunica ai vescovi lefebvriani. Il ripristino della messa antica provocò reazioni soprattutto in Francia. “Che cosa dice a coloro che in Francia temono che il Summorum pontificum segni un ritorno indietro rispetto alle grandi intuizioni del Vaticano II?” chiesero i giornalisti al papa nel settembre del 2008, sull’aereo che lo portava verso Parigi.

“È una paura infondata» rispose il papa. «Perché questo motu proprio è semplicemente un atto di tolleranza, a fini pastorali, per persone che sono state formate in quella liturgia, la amano, la conoscono, e vogliono vivere con quella liturgia». L’accusa è sempre la medesima: il papa vuole tornare a prima del Concilio. E, quindi, è contro la modernità. È la stessa accusa che in molti hanno rivolto al papa quando revocò la scomunica ai quattro vescovi lefebvriani. Anche qui Ratzinger reagì spiegando: da una parte “non si può congelare l’autorità magisteriale della Chiesa all’anno 1962». Dall’altra disse a coloro che si segnalano come grandi difensori del Concilio che «chi vuole essere obbediente al Vaticano II, deve accettare la fede professata nel corso dei secoli e non può tagliare le radici di cui l’albero vive”. C’è anche un certo mondo protestante che non comprende Ratzinger. È del novembre scorso la costituzione apostolica Anglicanorum coetibus con la quale quei gruppi di anglicani che lo desiderano possono tornare con Roma. Il papa ha spiegato il gesto come una risposta a una richiesta avanzata dagli stessi anglicani. Ma molti anglicani e anche parte della Chiesa cattolica non l’hanno capito e l’hanno accusato di saper pescare “soltanto a destra”, ovvero in quei settori della cristianità scontenti per le derive progressiste e “liberal” delle proprie Chiese. Il primo febbraio scorso il papa risponde alle accuse. E ai vescovi d’Inghilterra e Galles ricevuti in visita ad limina dice: «Vi chiedo di essere generosi nel realizzare le direttive della costituzione apostolica per assistere quei gruppi di anglicani che desiderano entrare in piena comunione con la Chiesa cattolica. Sono convinto che questi gruppi saranno una benedizione per tutta la Chiesa». Perché gli anglicani vogliono tornare in comunione con Roma? Perché una Chiesa che apre al mondo in modo sconsiderato accettando l’ordinazione femminile e i matrimoni gay non ha senso. Il papa combatte per salvaguardare una Chiesa ancorata alla verità e per questo c’è chi lo osteggia.

Paolo Rodari è vaticanista de Il Foglio e autore del blog Palazzo apostolico

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