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E’ l’economia a scatenare in Tunisia la nuova Primavera

Sembra non esserci più pace per i Paesi protagonisti della cosiddetta Primavera araba. Dopo le rivolte in Egitto contro il presidente Muḥammad Morsi, ora è il turno della Tunisia. Ieri il leader dell’opposizione Shokri Belaid è stato ucciso a colpi di pistola davanti alla sua casa e oggi il governo di Hamadi al Jebali ha annunciato lo scioglimento per lasciare il passo a un gruppo tecnico che convocherà al più presto nuove elezioni presidenziali.

In un’intervista con Formiche.net Stefano Torelli, ricercatore dell’Ispi, spiega che il clima di instabilità nello scenario politico tunisino è sintomo di una crisi più profonda e pericolosa, che è quella socio-economica. Sulla possibilità che esploda un nuova “Primavera araba” non c’è da essere ottimisti: la ribellione è in atto e può solo che peggiorare.

Chi era Shokri Belaid? Che ruolo svolgeva nello scenario politico tunisino?

Era un avvocato che durante il regime di Bel Ali era in prima fila nella difesa dei diritti umani, soprattutto nella libertà di espressione e di opinione. Anche se era laico, si batteva nell’ambito giudiziario per la libertà di opinione dei Fratelli Musulmani. Negli ultimi tempi era sotto i riflettori perché faceva parte dell’Assemblea Costituente ed era uno dei promotori della troika di opposizione contro il governo. Voleva fare tornare la Tunisia sul binario laico. Il giorno prima della sua morte aveva denunciato possibili ritorsioni contro il suo movimento. La Tunisia perde un avvocato che difendeva i diritti anche con un impegno politico.

Ma la sua morte ha provocato la caduta del governo di Hamadi al Jebali o ha solo accelerato un malessere già esistente?
Da tempo si parlava di crisi nel governo. Erano previsti rimpasti e cambiamenti. L’uccisione di Belaid ha solo accelerato il processo. Il governo in Tunisia non aveva più la maggioranza e lo sapeva. E questa insoddisfazione è l’effetto di una gestione di due anni senza molti successi.

Anche in Egitto ci sono state tensioni nelle ultime settimane, proprio a causa di promesse incompiute sul piano sociale ed economico. Com’è la situazione sociale in Tunisia?
Sono realtà che si somigliano in alcuni aspetti. E in entrambi casi l’elemento importante è proprio quello socio-economico. Oggi sono i governi attuali i responsabili della grave situazione che si vive in questi Paesi. È vero, le congiunture non sono le migliori, ma gli indicatori sociali ed economici sono peggiorati, e questo è un fattore scatenante, molto di più di quello politico o ideologico. Lo scontento popolare è la prova dell’inefficienza nella gestione economica.

Quindi è possibile un’altra esplosione sociale come quella di due anni fa?
Dipende dall’entità, ma penso che è un’ipotesi che sta già avvenendo. In maniera più soft (ancora più soft in Tunisia rispetto all’Egitto), ma siamo già di fronte a rivolte, a un’atmosfera pensante. Ieri alcuni ministeri erano sotto assedio, ci sono stati attacchi ed è anche morto un agente della polizia in scontri con i manifestanti. Il clima non è dei migliori e può solo peggiorare.

Questi Paesi torneranno un giorno alla normalità?
Sarà un lungo processo. La Tunisia sembrava il Paese che aveva percorso nei migliori dei modi il processo di cambiamento. Molto meglio rispetto all’Egitto, lo Yemen e la Libia, che sono Paesi tuttora in guerra civile. Il fatto di ieri è la goccia che ha fatto traboccare il vaso e dimostra che la Tunisia non era ancora pronta per la transizione. Ha suonato un campanello d’allarme che ha rimesso un’ombra sulla cosiddetta Primavera araba, sia in retrospettiva che in prospettiva.

E che cosa può fare la comunità internazionale per contribuire alla stabilità?
Bisognerebbe chiedersi cosa avrebbe potuto fare. L’attenzione arriva quando già i regimi sono caduti ma dopo i riflettori scompaiono. Adesso in Tunisia, la comunità internazionale può fare ben poco perché si tratta di una questione interna. È importante che l’entusiasmo non arrivi solo quando ci sono spettacolari rivolte per poi scomparire.



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