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I tre gruppi di Stati che bisticciano sul bilancio Ue

Sono ore di tensioni nell’Unione Europea. Si discute su quanti soldi avranno i Paesi europei e il tema crea scalpore. Tra domani e venerdì si terrà il vertice del Consiglio europeo dove dovranno prendersi decisioni sul budget. Le negoziazioni sembrano una gara tra gruppi: da una parte c’è il gruppo degli “attenti”, i Paesi che di soldi nella cassa comune europea ne mettono tanti e altrettanti ne vogliono ricevere; dall’altra, il gruppo della “crescita”, Paesi che non hanno il braccino corto e credono sia necessario investire risorse per garantire lo sviluppo. Per ultimo, quelli della “redistribuzione”, che pensano sia giusta una ripartizione equa se è vero che l’Europa è unificata, oltrepassando le condizioni – e i contributi – singolarmente.

Sembrerebbe che in questo accordo ci sia in gioco il futuro economico – e non solo – dell’Europa perché dietro agli apparenti attriti si nascondono concezioni diverse di spesa ma anche di crescita. In un’intervista con Formiche.net, Giampiero Gramaglia, giornalista esperto di politica ed economia internazionale, ex direttore dell’Ansa e consigliere per la comunicazione dello Iai, spiega perché l’Europa è più forte di quelle cifre minime che hanno aperto le discussioni su quanto deve spendere nei prossimi anni l’Unione Europea. E come la posizione dell’Italia è segnata dal tono della campagna elettorale.

– Sembrano decisivi questi due giorni per il futuro economico dell’Europa. Cosa c’è davvero in gioco? Si arriverà ad un accordo? Vinceranno quelli che propongono l’austerity o quelli che di tagli non vogliono sentire parlare?
Non credo ci sarà un accordo tra domani e venerdì perché per raggiungerlo è necessario che tutti rinuncino ad alcuni aspetti delle proprie posizioni. Ma se si arriva a qualche decisione credo sarà più vicina ai Paesi che scommettono per il rigore, rappresentati dalla Gran Bretagna e la Germania. Ma, in realtà, la decisione non è così determinante. La somma totale del budget per i prossimi sette anni è di 1000 miliardi e c’è una gran base d’accordo da parte dei 27 miliardi. Le discussioni sono soltanto sulla riduzione di 20 miliardi, che in confronto è molto poco. Certo, c’è molta attenzione e resistenza a perdere, ma non è così determinante.

– Quali sono gli aspetti dove c’è maggiore scontro?
Le differenze importanti riguardano la percezione del bilancio comunitario. La Gran Bretagna vuole avere indietro i soldi che dà, o almeno non rimetterci. Quella posizione è stata presa ai tempi della Thatcher e non l’hanno mai abbandonata. La Germania, invece, ha un approccio cooperativo ma concorda sul fatto che il bilancio Ue deve produrre di più e ridurre la spesa. Gli altri Paesi credono che per crescere sia necessario avere le risorse a disposizione, con un ridimensionamento degli investimenti in diversi settori, come quello industriale e agricolo.

– Sembra che ci siano due bande: da una parte la Gran Bretagna e la Germania, con la bandiera dell’austerity, e dall’altra la Francia e l’Italia che sono contrari ai tagli. Come sono le alleanze tra gli Stati membri?
Gli schieramenti sono tre: nel “gruppo degli attenti” c’è la Gran Bretagna – forse l’unico Stato che vuole indietro la stessa quantità dei soldi con cui contribuisce – insieme a quelli che non vogliono spendere troppo come Svezia, Germania, Lussemburgo e Islanda, per esempio. Dopo c’è il “gruppo della crescita”, del quale fanno parte Italia, Spagna, Belgio, Portogallo, Irlanda e sicuramente la Grecia. Il “gruppo della redistribuzione” è costituito dai Paesi Baltici, Slovenia, Ungheria e la Repubblica Ceca.

– Si potrebbe dire che quelli che puntano sulla “crescita” e la “redistribuzione” sono quelli in più difficoltà economica e hanno bisogno di quelle risorse per sostenere lo sviluppo e provare a uscire dalla crisi, mentre il “gruppo degli attenti” sono quelli più forti economicamente…
Sì, ma poi ci sono casi come quello dell’Italia, che contribuisce con molti soldi ma non rientra con le spese redditizie.

– Allora, come si può interpretare la posizione italiana?
L’Italia conta sui fondi europei per la crescita. Ma la sua posizione in questo momento è condizionata dalla campagna elettorale. Mentre è a Bruxelles il premier Mario Monti non vuole perdere. Anzi, non vuole perderci perché se ci perde dovrebbe tornare a casa. Ma le polemiche e le critiche ci saranno sempre. Mentre ha sommerso gli italiani di nuove tasse, fuori difende gli interessi dell’Ue. Per questo l’Italia è attenta e rigida nel negoziato.

– Le differenze tra i Paesi in questo negoziato sul budget riflettono differenze più profonde a livello politico, ovvero, l’Europa è poco unita?
Credo che la decisione di questi giorni – se ci sarà – non è così escatologica. Non c’è fretta. Qui parliamo di misure che saranno messe in atto a gennaio del 2014. Se aspettiamo due o tre mesi ancora per decidere non succede niente. E se da qui al 2020 la situazione migliora, come tutti speriamo, le scelte possono modificarsi con assoluta flessibilità. Sul 95% degli aspetti i 27 Paesi sono d’accordo, si discute soltanto su un 5% e per cifre ridotte rispetto al totale. Se poi gli inglesi vogliono mettere in discussione la loro partecipazione all’Ue per 20 miliardi, che lo facciano. L’Europa vale più di quello.



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