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Vizi e virtù dei piani di Bersani, Berlusconi e Monti

Sono le elezioni più brutte del dopoguerra. Inutile votare tanto si andrà di nuovo alle urne. Sarà la più breve legislatura. Si parla solo di tasse. Troppi insulti.

Se ne sentono di tutti i colori in questi giorni di carnevale, e si distinguono acclamati politologi, tra i quali il decano Giovanni Sartori sul Corriere della Sera. Ma è davvero cosi? Due mesi fa si diceva che la metà degli italiani era pronta ad astenersi, oggi i delusi e gli incerti si sono ridotti, anche grazie a Berlusconi che ha rimotivato le sue truppe, a Monti che è sceso in campo, a Renzi che sta rivitalizzando uno spento Bersani. Evidentemente, gli italiani sentono che votare serve e le scelte sono più chiare di quel che si scrive sui giornali.

Prendiamo le tasse: sono sempre state lo snodo del rapporto tra cittadini e stato, taxation and representation è il binomio della democrazia liberale, dunque perché stupirsi? Anche le propste sono molto chiare, al di là delle polemiche e delle gag: Berlusconi vuole ridurre le aliquote sui ceti medio alti (piu condoni e restituzione dell’Imu) perché pensa che cosi aumentino i consumi e poi gli investimenti, insomma una riedizione del trickle-down reaganiano; Bersani vuole ridurre le imposte sul lavoro facendo pagare di più ai ricchi, tipica ricetta di sinistra; Monti pensa prima al pareggio di bilancio poi a un alleggerimento graduale della pressione fiscale sulle imprese e le famiglie, la ricetta dell’ortodossia economica. Nessuna sorpresa, ogni prodotto ha la sua etichetta bell’esposta, sta agli elettori scegliere.

E gli elettori dovranno esprimersi anche su un cammino di più lunga durata, e anche qui gli schieramenti sono netti. Monti vuole andare avanti con l’Europa e con l’euro, l’Europa che c’è qui e ora, muovendosi con realismo e a piccoli passi, verso l’Europa che verrà. Bersani e Berlusconi sono, uno da sinistra e uno da destra, contro questa Europa. Bersani ne vuole una che cresca e redistribuisca il reddito dal capitale al lavoro, come dicono i socialisti francesi (anche se finora non sono riusciti a cambiate niente). Berlusconi si è messo con la destra euroscettica, sia pure in modo meno radicale, una linea più vicina ai conservatori inglesi che al Partito popolare dove, infatti, si levano le voci di chi vorrebbe addirittura espellerlo.  Anche questa strategia, come le altre, ha molte contraddizioni: Cameron si è appena messo d’accordo con la Merkel per tagliare il bilancio europeo, scelta che non fa gli interessi dell’Italia che avrebbe bisogno, invece, di un bilancio espansivo.

Dunque, anche qui, a noi decidere: vogliamo l’europeismo prudente alla Monti, troppo rigorista, ma che punta a far marciare l’Italia insieme alla Germania; siamo per l’eurosocialismo o per l’euroscetticismo? Il primo ci costerà ancora posti di lavoro, con spesa pubblica ridotta e tasse elevate, ma ci terrà dentro l’euro; il secondo punterà sulla crescita anche a costo di spostare in avanti la riduzione del debito pubblico, e bisogna vedere se sarà accettato da chi muove il denaro sui mercati mondiali i quali non gradiranno certamente la terza opzione, perché mette l’Italia sul punto di uscire dall’euro insieme alla Spagna e alla Grecia. E’ evidente, infatti, che il trickle-down può funzionare a costo di aumentare subito il deficit pubblico come accadde nei primi quattro anni di Reagan e di manovrare la moneta (nel nostro caso ci vorrebbe una consistente svalutazione, compensando con più inflazione l’aumento dell’indebitamento).

Ua campagna elettorale senza proposte forti e senza scele chiare? Non sembra proprio. Magari non ci pacerà nessuna delle medicine che i tre leader principali propongono e allora c’è Grillo con le sue smargiassate.

Bene, se gli italiani preferiscono scompisciarsi, votino lui. Ma ricordino il detto popolare: ride bene chi ride ultimo.


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