Sembrava immune dal contagio il gigante canadese, come se i grandi laghi e le foreste lo mettessero al riparo dagli scossoni della crisi globale. Poi sono arrivati i soliti guastafeste di Moody’s che hanno declassato sei grosse banche del Paese. Una smacco niente male per uno Stato che presenta una bilancio pubblico invidiabile (debito/Pil di poco superiore all’80%) e un livello generale di crescita prevista intorno al 2% quest’anno, in leggero calo dal 2,6% del 2011 (1,9% nel 2012) e del 2,7% del 2014.
Ma poiché non vi vive solo di bilanci pubblici, ecco che i signori del rating individuano in due variabili macro altrettanto importanti (se non di più) la causa della fragilità del Canada: il livello di indebitamento delle famiglie, giunto al record del 165% del reddito, e le quotazioni del mercato immobiliare “cresciute – dice l’agenzia – del 20% dal 2007″. Quindi mentre in tutto il mondo i prezzi del mattone scendevano, in Canada accadeva il contrario. Perché?
Che il mattone sia un problema in Canada, è fatto notorio. Nella sua recente rilevazione sullo stato globale del settore, l’Economist ha calcolato che il price to income canadese, quindi lo spread fra il livello dei redditi e le quotazioni immobiliari quoti 34 punti (in Italia è 12). Significa che i prezzi dovrebbero scendere del 34% per essere allineati al livello generale dei redditi. Questi ultimi, nota Moody’s, sono cresciuti meno dell’indebitamento. E ciò spiega perché le famiglie canadesi siano passate dal 137% di debiti sul reddito del 2007 al 165% del 2012.
Evidentemente i rincari immobiliari si sono scaricati sui debiti delle famiglie, probabilmente via mutuo. Ma l’aumento dell’indebitamento è anche una conseguenza diretta dell’aumento dei consumi interni, probabilment grazie ai crediti concessi alle famiglie, che hanno contribuito non poco al buon andamento del Pil, rapidamente in ripresa dopo il -2,8% del 2009. Infatti i consumi privati, in contrazione di 2,1 punti nel 2009, esplodono a +4,5 nel 2010 per arriva a 3 punti nel 2011.
Da qui la debolezza delle banche, esposte alle intemperanze del ciclo immobiliare e all’asfissia finanziaria delle famiglie che però, malgrado tutto, rimangono fra le più ricche del pianeta, appena sotto quelle americane con una ricchezza netta pari a 5,5 volte il reddito (in Italia tale rapporto quota 8). Tanto che si era parlato del Canada come di un’isola felice: un’economia sostenuta da un buon export, bassa inflazione (circa 1% con previsione di arrivare al 2 entro metà del 2014) buoni conti pubblici, prospettive positive grazie alle politiche energetiche e agli investimenti sulla tecnologia estrattiva. Qualcuno ricorderà che l’Iea ha previsto che entro il 2030 Usa e Canada diventeranno esportatori netti di petrolio grazie ai ritrovati tecnici (scisti bituminosi e quant’altro).
Per capire però se il miracolo canadese è davvero un miracolo, vale la pena leggere un capitolo dell’ultimo World economic Outlook del Fmi dedicato proprio alla battaglia vinta del Canada contro il quasi fallimento a partire dal 1995. Erano almeno dieci anni che il Canada tentava di risanare i propri conti pubblici, quasi in dissesto a partire dal 1980 a causa di alti deficit e politiche monetarie sballate.
Nell’85 il governo in carica si propose di abbassare il rapporto debito/pil al 65% con la solita ricetta di aumenti di tasse e tagli di spesa che portarono il bilancio pubblico in avanzo primario nel 1989. Ma il miglioramento del deficit non ebbe grandi impatti sul debito (un po’ come accade oggi da noi). In più nel 1990-91 arrivò una pesante recessione che si mangiò il risanamento fece schizzare al 102% il debito/Pil. Vale la pena sottolineare che una delle misure decise nell’85 fu quella di varare una supertassa per i redditi più alti e procedere ad ampie privatizzazioni. Tanto per dire che tutto il mondo è paese.
Nel ’95 il Canada mise in campo alcune riforme strutturali per risolvere gli squilibri di bilancio, fra le quali si segnalano lo spostamento di parte della fiscalità dallo stato centrale ai territori e una politica monetaria più rilassata, con tassi bassi e svalutazione. Il debito si ridusse di 35 punti sul Pil. La spesa per interessi calò dal 10% del Pil del ’95 al 7% nel 2000.
Ma la differenza la fece il contesto internazionale. I partner commerciali del Canada, Usa in testa, conobbero una notevole ripresa a partire dal ’91. Ne beneficiarono i conti con l’estero, complice anche un indebolimento del cambio: l’export aumentò di 3 punti sul Pil ogni anno fra il ’93 e il 2000. Malgrado la crescita del Pil rimanesse relativamente più bassa rispetto ad altri paesi avanzati, il risanamento si compì.
Contestualmente tuttavia il debito delle famiglie passò dal 114% del 1999 al 165% di oggi. In pratica il debito delle famiglie è aumentato del 44% in dodici anni, mentre il debito pubblico scendeva del 35%. Questo tanto per dire che ci sono molti modi per risanare i conti pubblici.
Il futuro è incerto. Le previsioni registrano un modesto aumento dei consumi interni per i prossimi anni, dovendo anche fare i conti con un settore immobiliare sopravvalutato. Quindi l’unica speranza per tenere in ordine i conti sono le esportazioni, in un momento peraltro in cui la torta del commercio internazionale deve confrontarsi con una guerra valutaria ormai dichiarata.
Insomma, una casetta in Canada è ancora un buon asset.
Ma non per molto.