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“Zero Dark Thirty”: La ricerca del re del terrore

Il racconto di una ricerca, di un inseguimento disperato atto a catturare un fantasma che dall’11 Settembre del 2001 aleggia nelle menti degli occidentali. Il nome è ormai un agglomerato di lettere, Osama bin Laden, un suono che risveglia nell’immaginario collettivo quel senso di paura e terrore profondo che può scaturire solo da una minaccia perennemente invisibile.

Kathryn Bigelow (autrice di The Hurt Locker) ci racconta questa ricerca in modo elegante, stringato ma approfondito allo stesso tempo. Le sue immagini sono spietate nel narrare le torture inflitte ai terroristi catturati dagli americani che, da eroi della patria, non hanno paura di farsi carnefici per incastrare il re del terrore alla guida di Al-Qaeda.

Pur essendo stato fortemente criticato per la crudezza di queste immagini che svelano il cuore oscuro delle forze segrete americane, “Zero Dark Thirty” non è un mero film di denuncia che si appiattisce a un abietto antiamericanismo. È una storia fotografata nella sua complessità, filtrata dallo sguardo della sua protagonista, Maya (Jessica Chastain), che non è né eroina martire né portatrice di una giustizia universale. È semplicemente quello che vediamo: un’agente della CIA che vota dieci anni della sua vita alla ricerca della causa dei mali del suo mondo.

La ricerca di Maya non è una crociata, è un percorso personale attraverso il quale scopriamo le assurdità della sofferenza, la tenacia di una donna che ancora prima dei terroristi deve lottare contro la superficialità dei suoi superiori.

L’intera pellicola è un continuo susseguirsi di scene perfettamente legate tra loro, un ritmo fluido che tende necessariamente all’azione finale: la cattura di bin Laden. L’azione è costruita magistralmente da Bigelow, la tensione non cade nemmeno per un secondo e, alla fine, il mostro di cui si era cominciato a dubitare l’esistenza viene catturato e ucciso. E adesso?

Il film non ci racconta un punto di vista angolato, crea una storia partendo da zero. E come in ogni storia reale, come in ogni vita, ci sono sempre più fattori che determinano lo svolgersi degli eventi. Quello che muove Maya, il motore del suo agire non è mai un fascio unitario di valori universali, ma sempre una serie di rapporti e situazioni vissuti nella loro complessità, dal dolore di una perdita all’ambizione più pura di salvare il proprio mondo.

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