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Abbasso(a) quelle maniche della camicia

Non entro nel merito dell’editoriale di Paolo Messa che – in maniera però convincente – punta il dito su quella forza politica che nella sua perdente vittoria ha messo in stallo politicamente il Paese. Non entro nel merito di valutazioni che non mi competono, anche se perdere tutti quei voti vorrà dire pure qualcosa. Non so se, come dicono, Bersani sembra essere più l’arcigno problema che la soluzione del problema. Non entro nel merito, leggo e cerco di capire, e aspetto il 15 marzo, e spero, e temo. Come tutti gli italiani che hanno molto da perdere nel caos e nessun vitalizio.

C’è una cosa che invece sento il bisogno di dire semplicisticamente: sono mesi (anni?) che Bersani tormenta l’immaginario collettivo con la sua camicia a maniche alzate (con cravatta). Questo suo ossessivo tirare su le maniche (con cravatta) nel segno dell’operatività e dell’informalità che – va da sé – è democratica per definizione. Vorrei suggerire di abbassare quelle maniche, di normalizzare l’aspetto estetico. La comunicazione non verbale non ha funzionato e adesso tirare su le maniche non ha affatto il significato, non veicola il messaggio che gli era stato affidato. Anzi. Si potrebbe fare l’osservazione: ma chi se ne frega delle maniche di Bersani! Certo, stiamo parlando di quisquilie estetiche in un momento in cui serve tragica concretezza ma attenzione – tornando all’editoriale di Messa – mantenere la posizione delle maniche alzate (con cravatta) è il segno di chi non molla, non si cura di alcuno ma guarda e passa. Il segno di chi sa  come si fa, che bando alle ciance ci penso io,  di chi guarda avanti e mai indietro (dove ci sono gli errori) e metafore crozziane cantando…

Quelle maniche sono l’emblema della rigidità, più che della coerenza?

 

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