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Bersani sa giocare a Tetris?

Il tempo fugge
Con ogni probabilità, la fase di pre-mandato bersaniano passerà alla storia come uno dei più complessi esercizi di incastro istituzionale di cui si abbia memoria. Roba da campioni di Tetris. A fare la differenza rispetto ai traballanti governi della prima repubblica è il contesto in cui deve maturare la combinazione parlamentare in grado di assicurare una maggioranza solida e stabile. L’Eurozona vacilla, il caso-Cipro ha trasmesso ai mercati l’ennesima botta di sfiducia nelle magnifiche sorti e progressive della moneta unica, e le elezioni tedesche non lasciano presagire atteggiamenti “aperturisti” da Berlino fino all’autunno. Per non parlare delle numerose micce domestiche accese, come l’aumento dell’IVA calendarizzato per luglio e la necessità di avviare e lubrificare il meccanismo per il pagamento dei debiti pregressi della PA.

Bersani vuole salvare la faccia, ma deve fare in fretta
Dall’alto della sua enorme esperienza, Giorgio Napolitano sa bene che Pier Luigi Bersani ha bisogno di fare un giro di giostra. E’, quello di Bersani, un bisogno che si spiega anzitutto con la vittoria mutilata delle politiche 2013 e lo strascico di amarezza che circola all’interno del PD. Bersani deve salvare alla faccia e fare qualcosa che gli consenta di non essere ricordato dai suoi compagni di partito come “quello che ci ha fatto perdere le elezioni già vinte”. E’ infatti forte la consapevolezza che la non-vittoria sia stata essenzialmente cagionata dall’affermazione di Bersani alle primarie del PD. Bersani lo sa, ma non lo dice: è l’affermazione di un post-comunista alla testa del PD ad aver ringalluzzito Berlusconi – a cui non è parso vero di poter rispolverare l’arsenale anticomunista – e ad aver ingolosito Monti nel suo proposito di attirare il voto moderato in fuga dai grandi partiti. Se al posto di Bersani ci fosse stato Renzi, molto probabilmente oggi non saremmo qui a commentare il crollo del PD, il recupero in zona cesarini del PDL e il successo del M5S. Eppure la storia non si fa con i “se”, e Napolitano deve dare le carte. Bersani non ha dunque che una finestra di poche ore per compiere il proprio mandato – affidatogli con formula non piena e piena di condizioni dal Colle – e riferire alla base. Dopodiché è da escludere che un governo “di area” possa ricevere semaforo verde dal Quirinale. A giustificare questo “nyet” quirinalizio è soprattutto il fatto che il PD non riuscirebbe a ottenere una maggioranza durevole dal M5S, e forse nemmeno dai montiani che si stanno rivelando più manovrieri e meno “istituzionali” delle aspettative.

Un po’ di tecnici al posto giusto…
A questo blog, che ha negli occhi l’esperienza non vittoriosa dell’esecutivo Monti, i governi tecnici un po’ di paura la fanno. L’idea di un governo di soli tecnici è impraticabile, a sconsigliarla sono lo scarso gradimento degli italiani nei sondaggi e l’eccessiva prossimità temporale alle elezioni: è passato davvero troppo poco tempo per pensare a un governo senza crismi politici. Ciò non toglie, tuttavia, che un paio di tecnici possano servire a stemperare il clima dell’ultima fase elettorale, quella all’insegna della mutua demonizzazione. L’inserimento di tecnici in posizione-chiave (economia, giustizia, interni e forse esteri, ché a parlare di Palazzo Chigi si fa peccato…) uniti a ministri politici meno esposti potrebbe essere la soluzione. O no?



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