Lo stupore, positivo, di un Papa che nel presentarsi al mondo ha scelto di chiamarsi Francesco, la forte continuità tra il pontificato di Benedetto XVI ed il suo successore, le sfide del nuovo pontefice. Questi i principali temi oggetto dell’incontro, organizzato dalla rivista Formiche, che si è svolto presso la Sala delle Colonne dell’Università Luiss di Roma lunedì 18 marzo. Un evento, quest’ultimo, che ha visto la partecipazione di importanti esponenti del mondo ecclesiastico, come Monsignor Samuele Sangalli, docente presso l’Università Luiss e presso la Pontificia Università Gregoriana, e Monsignor Lorenzo Leuzzi, Vescovo Ausiliare di Roma nonché di rappresentanti del mondo dell’informazione cattolica e del giornalismo, quali Bruno Mastroianni, direttore dell’Ufficio Informazioni in Italia dell’Opus Dei, Carlo Marroni, vaticanista de Il Sole 24 Ore e Paolo Rodari, vaticanista del quotidiano La Repubblica.
L’incontro è stato moderato da Paolo Messa, fondatore della rivista Formiche, il quale, nell’evidenziare come la stampa abbia colto in particolare l’aspetto pauperista di Papa Francesco, ha affermato di guardare al nuovo pontefice come ad “una figura molto più complessa, una persona che tende a recuperare un rapporto molto forte con la fede”. Significativa, poi, per il fondatore di Formiche, la scelta di Papa Francesco di condividere il momento della preghiera una volta affacciatosi al balcone in Piazza San Pietro in quanto essa dimostra “la forza del nuovo Papa che risiede nella capacità di unire la collettività nella preghiera”.
L’elezione di Papa Francesco è stato, senza dubbio, un qualcosa di totalmente inaspettato. Proprio per questo motivo Monsignor Sangalli ha invitato a non leggere tutto quello che è avvenuto nelle settimane passate in maniera riduttiva, “spiritualmente gretta”, riducendo così gli eventi “a categorie che non si addicono assolutamente alla Chiesa”. E’ necessario, infatti, secondo Sangalli “leggere l’azione dello Spirito Santo in tutti questi avvenimenti” ai quali non avremmo potuto assistere senza la rinuncia di Benedetto XVI, ovvero “un gesto di grande libertà interiore che dimostra una grande statura spirituale che tutti dobbiamo ancora metabolizzare e che comprenderemo a fondo solo nei decenni a venire”. Ma come deve essere quindi interpretato il gesto di Papa Benedetto XVI? Come una “sigla del proprio pontificato”, come l’atto finale di una “persona che ha accettato di immolarsi sin dall’inizio ponendosi sulle orme di Giovanni Paolo II, di un uomo che si è consegnato interamente per il bene della Chiesa”. Ed il suo successore, secondo Monsignor Sangalli, sarà una piacevole sorpresa che “ci aiuterà a riscoprire parole quali misericordia, povertà, fraternità, ovvero un linguaggio che dobbiamo ricominciare a parlare” e che “ci farà vedere come sia quindi possibile uno stile di vita diverso nella convivenza tra gli uomini”.
Ma come si è arrivati alla elezione del cardinale argentino Bergoglio? A spiegarlo è stato Carlo Marroni, vaticanista del quotidiano Il Sole 24 Ore ed autore del libro “Le Mani sul Vaticano” (Edizioni Rizzoli), il quale ha portato avanti un paragone con quanto avvenuto con il conclave del 2005. In quell’occasione, infatti, l’allora cardinale Ratzinger vi entrò da gran favorito. Verso la fine del 2004, infatti, rilasciò una lunga intervista a La Repubblica che, col senno del poi, avrebbe potuto essere letta come un vero e proprio “manifesto” di pontificato. Da lì un crescendo, che portò Ratzinger a celebrare, a sorpresa, i funerali del fondatore di CL Don Giussani. Diversa è stata, invece, la strada che ha portato Bergoglio al soglio di Pietro. Una candidatura, quella del cardinale argentino, cresciuta nell’ombra tanto che lo stesso Bergoglio “la domenica precedente al conclave non ha celebrato la messa nella propria parrocchia, San Roberto Bellarmino, come fatto invece da quasi tutti gli altri porporati, preferendo rimanere nelle proprie stanze”. E la rapida elezione con la quale i cardinali elettori hanno individuato il successore di Benedetto XVI dimostra, secondo Marroni, come “già dal primo scrutinio, dove Bergoglio ha preso un numero elevato di voti, c’era un qualcosa che andava al di là del candidato, che ha permesso, da subito, di andare oltre alle presunte divisioni che avrebbero dovuto caratterizzare il conclave”.
Quale sarà la principale sfida che il nuovo Papa dovrà affrontare? La risposta può essere trovata, secondo Paolo Rodari, vaticanista de La Repubblica, nel nome stesso del nuovo pontefice, Francesco. Secondo Rodari, infatti, “il nome indica la volontà di una riforma profonda della Chiesa così come San Francesco ha riformato la Chiesa ai suoi tempi”. Una riforma che per Rodari deve essere “di natura strutturale, ancora prima che di uomini, essendo troppo verticistica, troppo vetusta per i tempi di oggi”. Ma come sarà la nuova Chiesa di Papa Francesco? “Il nuovo pontefice dovrà strutturare la Chiesa in maniera tale da darle più orizzontalità e, di conseguenza, un governo maggiormente collegiale” così come richiesto da numerosi porporati nel corso delle Congregazioni generali che hanno preceduto il Conclave. Non è mancato, poi, il riferimento ad una delle altre sfide che il nuovo Papa dovrà affrontare, ovvero la pedofilia. Secondo Rodari, in particolare, questa attenzione sulla pedofilia nella Chiesa, che Ratzinger non ha mai negato, è data dal fatto che Benedetto XVI ha portato avanti un pontificato ancorato al vangelo, che è una spada che ferisce, che da fastidio” dal momento che la Chiesa quando è fedele a se stessa “è sempre di scandalo”. Ma cosa distingue, alla fine dei conti, Francesco da Benedetto XVI? “Francesco assomiglia molto a Giovanni Paolo II” dice Rodari dato che “arriva al cuore anche dei non credenti con i suoi gesti, una caratteristica che Ratzinger non ha mai avuto”.
Ben pochi avevano immaginato che l’arcivescovo di Buenos Aires, per di più un gesuita, potesse diventare in breve tempo il successore di Benedetto XVI. Dello stupore, dello “smarrimento” della gente ha parlato Bruno Mastroianni, portavoce dell’Opus Dei in Italia e professore di Media Relations presso la Pontificia Università della Santa Croce. Uno smarrimento dovuto “non tanto alla novità di avere un Papa sudamericano e gesuita” quanto semplicemente al “nome”. Altri erano, infatti, i nomi che per settimane i giornali hanno scritto ed indicato come “papabili”. Si è assistito così, secondo Mastroianni, ad “una totale rottura di schemi tra la scelta dei cardinali e ciò che si poteva immaginare”, il che dimostra come “la Chiesa ci lasci sempre spiazzati”. Un Papa, Francesco, che sin da subito si pone in continuità con il suo predecessore anzi “dei suoi predecessori”. Secondo Mastroianni, infatti, Papa Francesco è stato preceduto da “un unico pontificato di 35 anni”, ovvero un “ponte che ancora oggi va nella stessa direzione, con il successore di Benedetto XVI che rappresenta un nuovo pilastro di questo stesso ponte”.
Sulla sorpresa dell’elezione di Papa Francesco si è infine soffermato anche Monsignor Lorenzo Leuzzi, Vescovo Ausiliare di Roma, che partendo dalla propria esperienza personale (“Il trovarsi immediatamente senza un Papa è un’esperienza terrificante”) ha evidenziato come nella Chiesa “vi sia qualcosa che, credenti o non credenti, non riusciamo a percepire”. Un’avventura, quella della Chiesa, che “per noi che viviamo a Roma è ancora più coinvolgente così che tutti siamo chiamati a condividere con lui l’evangelizzazione”. Cosa potrà fare la Chiesa in futuro? Se la Chiesa ha già fatto molto, secondo Monsignor Leuzzi “la Chiesa deve fare ancora di più, dato che grazie agli insegnamenti dei predecessori di Papa Francesco ha davanti a se una grande responsabilità”. E basta leggere l’ultimo discorso pronunciato da Benedetto XVI ai cardinali e quello letto da Papa Francesco nella Cappella Sistina per individuare immediatamente un minimo comune denominatore: “la Chiesa ha capito che per rispondere all’invito del Concilio deve prendere coscienza di se stessa dinanzi alle sfide del mondo contemporaneo”.