La Libia torna clamorosamente a fare i conti con la propria instabilità, con l’Eni costretta a interrompere l’export di gas e nuove preoccupanti tensioni a Bengasi alimentate dalle fazioni jihadiste che hanno circondato, armi in pugno, la scuola europea accusando gli insegnanti di pornografia.
Gli scontri a Mellitah
Gli scontri tra milizie rivali divampati ieri nei pressi dello stabilimento Eni a Mellitah hanno costretto alla sospensione nell’export del gas verso Gela. La mediazione del governo ha portato a un immediato cessate il fuoco, con le forze di sicurezza del ministero della Difesa che hanno preso il controllo dell’impianto. A breve la produzione di gas dovrebbe riprendere, anche se non è chiaro quanto tempo ci vorrà. “Serviranno almeno 48 ore”, ha detto un responsabile locale.
La perdita per l’Italia
La chiusura dei rubinetti, spiegano alti funzionari libici, ha causato difficoltà anche a Wafa, dove sorge un altro importante campo dell’Eni, e a Sabratha. Da Mellitah, attraverso il gasdotto Greenstream, passano circa 8 miliardi di metri cubi di gas. E la Libia garantisce il 10% del fabbisogno italiano di gas.
La reazione del governo libico
Gli scontri sono scoppiati ieri tra i miliziani delle brigate di Zintan e Zuara, entrambe desiderose di assicurarsi il controllo nella gestione della sicurezza dell’impianto. Il bilancio è di almeno un morto e diversi feriti, tra i quali secondo resoconti non confermati anche due dipendenti di Mellitah.
Il governo ha reagito con forza: “La principale minaccia alla stabilità della Libia è costituita da coloro che si rifiutano di consegnare le armi e le usano per i propri interessi personali”, ha detto il premier libico Ali Zeidan, lanciando un monito alle milizie, perché si mettano a disposizione del governo pena lo scioglimento.
L’embargo Onu delle armi
Un’impresa non facile quella di mettere un freno alle milizie: paradossalmente in Libia tutti hanno armi tranne il governo, che infatti preme per la fine dell’embargo Onu e spera presto di poter avviare nuovi contratti militari, anche con l’Italia.
Le proteste a Tripoli
Ma proprio mentre Zeidan lanciava i suoi strali in conferenza stampa – in una sala di fortuna perché nel frattempo un gruppo di madri di rivoluzionari uccisi nel corso della rivolta hanno occupato il piano terra del palazzo della presidenza del Consiglio – nuovi scontri sono scoppiati a sud di Tripoli, a Mizdah, causando un numero imprecisato di morti e feriti.
Le accuse di pornografia agli insegnanti della scuola europea
Intanto in Cirenaica monta la preoccupazione per una deriva interconfessionale del confronto: a Bengasi oggi i jihadisti di Ansar al Sharia, responsabili dell’assalto in settembre alla sede diplomatica Usa in cui perse la vita l’ambasciatore Chris Stevens, hanno circondato la scuola europea, accusando gli insegnanti di pornografia. Agli studenti la scuola ha distribuito un testo di educazione sessuale, con qualche disegno scientifico, inaccettabile per gli estremisti. L’azione dimostrativa si è risolta senza danni, lo staff “sta bene”, ha detto all’Ansa una fonte vicina agli insegnanti. Ma è solo l’ultimo episodio: nei giorni scorsi è stata presa d’assalto una chiesa copta, un sacerdote aggredito. Ore prima tra i 50 e i 100 cristiani copti sono stati arrestati dalle brigate con l’accusa di “proselitismo”.
La mappa dei miliziani
Il governo condanna, ma i miliziani non sembrano preoccuparsene. A ovest “comandano” gli zintani, le milizie di Zintan che rappresentano la forza armata più importante e celebrata della nuova Libia: sono loro che, scesi dal Jebel Nafusa, l’altopiano a sud di Tripoli, hanno cacciato Gheddafi dalla capitale e conquistato il suo bunker. Sempre loro hanno catturato Saif al Islam, ancora detenuto a Zintan, nel secolo scorso epicentro della resistenza armata contro la colonizzazione italiana.
A Est invece cresce il fronte separatista, e le milizie filo-Al Qaeda trovano linfa vitale.