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Chi è il premier Li Keqiang

Il mondo aveva imparato a conoscere Li Keqiang a Davos, durante il Forum economico mondiale 2010. Come largamente annunciato, oggi è stato nominato  nuovo primo ministro della Cina, succedendo a Wen Jiabao. Comincia con 2940 voti a favore, tre contrari e sei astenuti il primo dei probabili due mandati da cinque anni, in cui Li affiancherà il presidente Xi Jinping alla guida della seconda economia al mondo.

Come nota Bloomberg, il 57enne Li è il primo premier cinese a poter vantare un dottorato in economia, allievo all’università di Pechino di quel Li Yining considerato uno dei precursori delle riforme di mercato nella Repubblica popolare.

Se il capo di Stato Xi Jinping può essere annoverato tra le file dei cosiddetti principini, figlio di uno dei veterani della rivoluzione comunista, Xi Zhongxun, il premier Li arriva dalla covata della Lega giovanile comunista, base di potere del presidente uscente Hu Jintao.

La carriera nei ranghi del Partito, scrivono alcuni osservatori, è servita a stemperare le simpatie mostrate negli anni universitari alla Beida da studente di legge, quando tra i colleghi annoverava anche alcuni che sarebbero diventati attivisti del movimento di piazza Tian’anmen.

Fluente con l’inglese – ha co-tradotto “Il giusto processo” di Lord Denning – ha guidato il partito nel Liaoning, una gelida provincia del nord-est (ruolo che potrebbe risultare utile nei rapporti con la Corea del Nord) e nella provincia rurale dello Henan.

È all’Henan che si legano due degli aspetti più controversi della carriera politica del premier: la repressione degli attivisti per la lotta contro l’Hiv e i tentativi di copertura dello scandalo Aids, quando alla fine degli anni Novanta trasfusioni di sangue infetto provocarono una delle più gravi epidemie nel Paese. Alla provincia è legato anche il soprannome di “Tre incendi Li” per la mala gestione degli incendi che fecero migliaia di morti.

Secondo un cablogramma del 2007 diffuso da WikiLeaks, per i diplomatici statunitensi si tratta niente più di un “buon burocrate di Partito”. Osservatori lo definiscono “un cauto riformista”, sempre tenendo a mente le differenze di significato che il termine assume nei due lati della Muraglia.

Lunedì la prima conferenza stampa, aperta anche ai giornalisti stranieri, darà un primo assaggio del programma del futuro governo. Tra le parole d’ordine per il futuro prossimo cinese c’è urbanizzazione. L’esecutivo dovrà gestire il rallentamento dell’economia, al minimo dagli ultimi 13 anni. L’obiettivo di crescita per quest’anno è stato fissato al 7,5 per cento, come l’anno passato quando il tasso di crescita si attestò alla fine sul 7,8 per cento.

Il discorso cinese si concentra ora sulla necessità di conciliare crescita e benessere della popolazione. Lo stesso Li ha rilanciato nei mesi scorsi una vecchia parola d’ordine: le quattro modernizzazioni. Si tratta di industrializzazione, innovazione tecnologica, urbanizzazione e modernizzazione dell’agricoltura.

Raggiungendo questi obiettivi si spera di porre un freno al divario tra città e campagna. In particolare si tenterà lo sviluppo di quelle città considerate di seconda e terza fascia. Saranno stanziati 40mila miliardi di yuan (4mila miliardi di euro) per portare milioni di cinesi in città nei prossimi 10 anni. Un modo per creare anche un mercato interno che possa bilanciare la frenata dell’export e permetterà al Paese di sganciarsi da un modello economico basato sugli investimenti e dominato dalle grandi aziende di Stato.

Un processo che dovrà essere accompagnato da altre riforme, come quella sullo sfruttamento delle zone rurali e dell’hukou, il certificato di residenza che lega i cinesi al proprio luogo di residenza e priva così molti lavoratori migranti dei servizi offerti dalla città.


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