Se la strada per vedere un giorno Aung San Suu Kyi alla presidenza della Birmania sia aperta è ancora tutto da vedere. Un primo passo in questa direzione è però stato fatto. Il Parlamento ha dato ieri il via libera all’istituzione di un comitato per la revisione della Costituzione, scritta e approvata nel 2008 dall’allora giunta militare al potere che, oltre a concedere un quarto degli scranni dell’assemblea ai militari, esclude di fatto la premio Nobel per la Pace dalla guida del Paese.
La carica di presidente non può essere ricoperta da chi ha coniuge o figli di nazionalità straniera. Una norma fatta per colpire la signora, sposata con un britannico, come britannici sono i suoi figli. La richiesta di emendare una legge fondamentale considerata anti-democratica è stato uno dei punti fermi della Lega nazionale per la democrazia, il partito di Aung San Suu Kyi, che oggi può contare su 43 parlamentari.
Per i parlamentari del Partito per l’unione solidale e lo sviluppo (Usdp), braccio politico dei militari, la commissione prenderà principalmente in esame una maggiore autonomia per le minoranze etniche, uno dei nervi scoperti del governo centrale con richieste di uguali diritti e politiche sociali ed economiche. Lo dimostra il conflitto tra l’esercito e le milizie autonomiste Kachin nel nord del Paese, riaccesosi a luglio del 2011 con la rottura di un cessate-il-fuoco che durava da 17 anni e in cui le truppe regolari sono accusate di abusi e violazioni che rischiano di minare il processo di riforma e apertura intrapreso dal 2011 dal esecutivo del presidente Thein Sein.
Scrive il magazine Irrawaddy, una delle voci più influenti della diaspora, che la revisione della Costituzione potrebbe inoltre rivelarsi un trampolino per il presidente della camera bassa, Shwe Mann, considerato uno dei rivali del capo di Stato, che si ritiene voglia scalare il vertice dell’USDP e forse, nel 2015, tentare la strada verso la poltrona presidenziale.
L’ex”dittatore in attesa”, secondo la definizione data dai diplomatici Usa che emerge dai cablogrammi di WikiLeaks, è stato negli ultimi due anni uno dei principali fautori delle riforme.
Un altro rivale per Aung San Suu Kyi la cui immagine, benché goda ancora di grande popolarità, appare offuscata dai compromessi cui è costretta dalla politica di palazzo. Si pensi a esempio alle polemiche sui ritardi nel pronunciarsi sulla questione rohingya, la minoranza musulmana discriminata e al centro di violenze nel corso dell’ultimo anno o ai legami con oligarchi vicini alla passata giunta militare.
Da ultimo c’è stata l’esortazione ad abbandonare la protesta rivolta agli abitanti di Monywa contrari a un progetto minerario che coinvolge capitali cinesi. La repressione delle manifestazioni dello scorso novembre ha ricordato a molti quelle del passato regime. Almeno 100 tra monaci e cittadini sono rimasti ustionati per l’uso di fosforo. Ma il rapporto della commissione d’inchiesta guidata dalla stessa Nobel non è stato duro contro la poliziacome ci si sarebbe aspettato.