Skip to main content

DISPONIBILI GLI ULTIMI NUMERI DELLE NOSTRE RIVISTE.

 

ultima rivista formiche
ultima rivista airpress

Moneta unica europea: dopo il Piano A e B pensiamo al Piano D

Vi dico subito che non si tratta di una battuta, ma di una ipotesi più che mai realistica, una proposta da valutare e da prendere in serissima considerazione. Mi riferisco, con allusione al Piano A, cioè al piano per rimanere (e speriamo a pieno titolo) nella moneta unica e al Piano B per poterne invece uscire in modo ordinato, anche alla possibilità alternativa di invitare o suggerire alla Germania, per l’appunto il Piano D (Deutschland), di uscirne unilateralmente.

L’idea prende spunto dalla consapevolezza che, quando il prof. Paolo Savona nel 2009 espresse per primo la necessità che una classe dirigente italiana consapevole avrebbe dovuto dotarsi di un serio piano per poter ordinatamente uscire dalla moneta unica in caso di estrema necessità (e non è escluso che non l’abbiano realmente fatto), la situazione economica italiana, europea e mondiale era molto diversa dall’attuale. Era allora necessario avere almeno nel cassetto una credibile alternativa da contrapporre alle insistenze sempre più pressanti della governance europea nei nostri confronti. Se fossimo sempre stati disponibili nel dare il nostro assenso a qualsiasi richiesta proveniente da Bruxelles o da Francoforte, non saremo mai stati in grado di poter ottenere nulla, mentre se ci fossimo presentati con in tasca un piano alternativo credibile e dettagliato per ritornare alla lira, saremo riusciti senz’altro a perorare molto meglio le nostre istanze. Un po’ come ci si rapporta in famiglia: se accondiscendenti e disponibili ad accettare qualsiasi richiesta da parte degli altri componenti (specialmente figli) si finisce per passare per deboli (anzi per fessi!) e tutti continuano indisturbati ad approfittarsene!

Ma da allora gli scenari sono molto cambiati e in peggio: se un Piano B poteva avere una sua validità in termini di deterrenza o di una sua fattibilità concreta per cogliere una effettiva opportunità di crescita, che sarebbe sicuramente arrivata dopo un breve periodo di adattamento, ora sarebbe estremamente rischioso intraprendere quello che potrebbe rivelarsi un proprio e vero “salto nel buio”. Crisi del debito pubblico senza la volontà politica di risolverlo seriamente in casa pur avendo valide proposte e strumenti, crisi degli spread che hanno dilatato i differenziali dei tassi di finanziamento del Tesoro con quelli degli altri partners europei di riferimento e soprattutto la profonda crisi di identità politica emersa dalle urne a febbraio, non ci consentono di perseguire in questo momento scelte coraggiose e farebbero interpretare al mondo il nostro ritorno alla lira non come una scelta autonoma di forza, ma come una decisione imposta dagli altri.

D’altronde persistere in questa configurazione di Piano A, nella perenne impossibilità nel rispetto delle assurde ed anacronistiche regole per potervi rimanere, ulteriormente peggiorate dal Fiscal Compact e determinate dalle pesanti condizioni di austerity dettate dalla Germania, culturalmente ancora ostaggio di politiche economiche tese essenzialmente al contenimento dell’inflazione ed al rigore dei conti a tutti i costi, non ci consentono di toglierci il cappio che inesorabilmente si sta stingendo intorno al collo della nostra economia. Allora perché non invitare invece la stessa Germania a ritornare al loro amato e rimpianto marco rendendo esecutivo il Piano D? Perché è da scommettere che loro il Piano D se lo sono predisposto da tanto: certamente da prima di noi e da prima del passaggio all’euro sin dai tempi di Maastricht!

Il ritorno alla loro valuta toglierebbe il “tappo” che condiziona pesantemente l’intera Europa e permetterebbe a tutti gli altri partners (forse ad esclusione dei satelliti Olanda, Finlandia e Lussemburgo) di conseguire finalmente politiche economiche espansive e idonee al rilancio dei consumi, investimenti e occupazione senza l’ossessione dell’inflazione. Cosa ce ne facciamo di una inflazione ai minimi se poi per perseguirla ci ritroviamo la disoccupazione ai massimi storici? E poi libererebbe la BCE dai condizionamenti che non consentono di conferirgli lo stesso mandato di cui godono le Banche Centrali di tutto il mondo, ad iniziare dalla Federal Reserve, e permetterebbe di intraprendere la via della solidarietà che passa dalla compensazione fra Stati, opportunità non concessa per l’attuale opposizione tedesca (leggasi eurobond) e dalla possibilità di poter finanziare direttamente gli Stati in caso di bisogno.

Per chi non è d’accordo con quanto espresso fino ad ora, desidero sottoporre alla loro attenzione un grafico molto eloquente per evidenziare cosa è successo alla nostra economia con il passaggio dalla lira all’euro! Credo che ogni commento sia superfluo!

Il grafico, a dir poco scioccante, è stato elaborato da una società indipendente di consulenza asiatica, la GaveKal Data Research, su dati macro di facile reperimento.
Dopo la visione del grafico, non credo che siano rimasti in molti ad essere concordi nel ritenere, come la prevalenza dell’opinione pubblica e politica tedesca, chi siano stati gli unici a pagare il “conto” dell’Euro. Certo in Germania si è aperta la campagna elettorale che a settembre eleggerà il nuovo Parlamento e di conseguenza il nuovo Governo e il nuovo Cancelliere e i toni sul tema euro sono particolarmente amplificati ed enfatizzati e noi offriamo un terreno ideale, ma la verità dei numeri è ben diversa.La Germania è il paese che di fatto si è più avvantaggiata dalla coesione monetaria, ad iniziare dal primo mattone posizionato per la costruzione della futura moneta unica proprio lo stesso giorno della caduta del Muro di Berlino avvenuta il 9 novembre 1989. La Francia di Mitterrand era disponibile a dare l’assenso alla riunificazione a condizione che la Germania di Kohl abbandonasse il marco a garanzia di una unione economica sempre più forte fino alla condivisione di una stessa moneta e questo ha permesso sin d’allora che la Germania si appropriasse non solo della conduzione nelle scelte e negli indirizzi di politica economica e monetaria dell’intera Europa, ma anche che beneficiasse degli enormi aiuti concreti per l’integrazione di quella parte dell’est rimasta notevolmente indietro. Pochi sanno che nello stesso Trattato di Maastricht, firmato il 7 febbraio del 1992, vi erano previsti per vent’anni, ma ancora inspiegabilmente non abrogati, aiuti statali in deroga ad appannaggio dei territori ex DDR! Aiuti che non sono stati mai previsti o concessi dalla Commissione Europea neanche a favore delle aree più depresse dell’Unione Europea e che continuano a favorire oltremodo la competitività delle aziende tedesche specialmente nei confronti delle nostre, uniche in grado di contrastarle sul piano tecnologico. Ma non si è mai sentito nessuno rinfacciarlo o almeno farlo presente sbattendo i pugni sul tavolo, quando qualche smemorato politico tedesco “sbraita” nel ricordarci che noi siamo cicale e loro formiche!!!

Ma il vero problema è che da questo euro, molto diverso e distante da quell’euro che ci era stato fatto credere ed a cui abbiamo tanto sperato, è ostaggio della Germania. Concepito ad immagine e somiglianza del marco e supportato da regole economiche forgiate esclusivamente per la sua economia, non aiuta certo il resto dei paesi di Eurolandia, i quali necessitano di una valuta e una conduzione di politica economica e monetaria con presupposti completamente diversi. La struttura delle economie di tutti gli altri paesi richiedono politiche economiche notevolmente diverse da quelle imposte fino ad ora, basate esclusivamente su prelievi fiscali e non su stimoli alla crescita, il tutto finalizzato solo al miglioramento dei saldi di deficit e dei debiti. Come non è concepibile una unione monetaria che non riesca a porre le imprese di tutti i paesi membri nelle medesime condizioni di accesso e di costo al finanziamento. Quando mai le nostre riusciranno ad essere competitive nei confronti delle concorrenti tedesche se il differenziale dei tassi è di diversi punti percentuali?

Come più volte denunciato, l’economia tedesca si avvantaggia enormemente dell’appartenenza all’area euro, al punto da poter constatare che negli ultimi anni ha accumulato surplus commerciali con l’estero che coincidono con la somma di tutti i deficit degli altri dell’euro-zona, principalmente per effetto della sottovalutazione della valuta euro rispetto ai fondamentali della sua economia che altrimenti, in presenza di una valuta autonoma, avrebbero fatto innalzare considerevolmente il suo corso rispetto al dollaro o ad altre divise di riferimento mondiali ed abbassato conseguentemente le altre dell’area europea. L’abilità della Germania è stata quella di basare la costruzione europea esclusivamente su parametri finanziari: l’euro doveva essere il complemento finale dell’aggregazione e non il mezzo per poterla conseguire. Accondiscendendo a questo schema, in modo più o meno consapevole, gli abbiamo consegnato il coltello dalla parte del manico! Quel coltello che per ben due volte gli è stato strappato dalle mani negli ultimi cent’anni!

E allora perché non convincere gli amici tedeschi a liberarci dal loro pressante condizionamento che ha messo in ginocchio tutte le economie europee con ben pochi spazi per il futuro, “sdoganando” l’euro e rendendolo veramente una valuta europea a tutti gli effetti? Proprio così: il problema ormai non è tanto la Grecia, la Spagna, il Portogallo, l’Irlanda, l’Italia ed ora anche la Francia: il vero problema si chiama Germania, ovvero la loro prepotenza e determinazione nel condizionare le scelte economiche che non tengono conto delle esigenze degli altri. L’euro, con la fuoriuscita della Germania, riuscirebbe a mediare le problematiche di tutti i restanti paesi risolvendo in positivo ciò che per ora le è impossibile.

E poi tecnicamente sarebbero i soli che potrebbero farlo senza grandi traumi, in quanto sicuramente il nuovo marco si rivaluterebbe subito nei confronti dell’euro e i cittadini non si affretterebbero a nascondere sotto il materasso le banconote comunitarie, ma correrebbero in banca a concambiarle nella consapevolezza di sicura rivalutazione. L’opposto di quello che avverrebbe invece in tutti gli altri paesi euro-dotati, preoccupati di perdere, chi più chi meno, da un eventuale ritorno alle valute nazionali.
Perciò, come anni fa, avremmo potuto avvalerci di un piano B per una uscita credibile e ordinata del nostro paese o che fungesse da deterrente e da supporto negoziale nei tavoli europei, ora è il tempo di giocare, e questa volta nell’interesse non solo nostro, la carta dell’uscita della Germania dell’euro con il Piano D. Se non si rendono conto che ci stanno portando il resto dell’Europa allo sfascio economico e sociale per la cecità dimostrata nella conduzione economica, convinciamoli che è meglio che ritornino al marco e se vogliono proprio rimanere, nella certezza che la mia precedente analisi di convenienza la conoscono benissimo, rinuncino però ad imporre la loro disastrosa politica economica e monetaria idonea solo per la crescita del loro sistema e non certo per costruire una vera Europa.
Ma affinché questo possa avvenire non abbiamo più bisogno di persone che ci dicano “lo vuole l’Europa”, ma di persone nuove che vadano in Europa a dire “lo vuole l’Italia”!

Di Antonio Maria Rinaldi

Docente di Finanza Aziendale presso la G.D’Annunzio di Chieti-Pescara e di Corporate & Investment Banking presso la Link Campus Univ. di Roma

×

Iscriviti alla newsletter