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E’ nato il dispotismo Euro-asiatico

Qualche giorno fa mi è capitato fra le mani un articolo del Financial Times che raccontava le condizioni di lavoro dei lavoratori di Amazon nella civilissima Inghilterra. A Rugeley, ex cittadina mineraria piegata dalla disoccupazione che è diventata sede di uno dei magazzini di Amazon, i lavoratori vengono sottoposti a ritmi massacranti, la loro produttività viene monitorata con i computer e vengono licenziati con grande facilità: tre errori e sei fuori. La sensazione più diffusa è che siano trattati come schiavi. L’azienda ovviamente si difende e mette l’accento sulle grandi opportunità che offre al territorio, eccetera eccetera.

La storia, una delle tante che si possono trovare sui giornali e in rete, è di per sé significativa perché al di là di quanto ci sia di vero o di esagerato, racconta bene del clima generale che si respira nell’Europa del XXI° secolo, stremata da una disoccupazione che non risparmia neanche i paesi che hanno una moneta sovrana e una banca centrale accomodante.

Ciò smentisce quindi, o almeno mette in discussione, l’idea assai diffusa secondo la quale l’origine di tutti i mali nostrani sia da individuare nella costruzione cervellotica dell’unione monetaria, che ha fissato il cambio deflazionando, di conseguenza, gli altri fattori della produzione, a cominciare dai salari, facendo leva proprio sull’aumento della disoccupazione indotta dalle politiche di austerity. Il che sicuramente racconta una parte della verità, ma non tutta.

Per avere una visione più esaustiva basta guardare un planisfero. L’Europa ormai, e tanto più da quando è stata creata l’unione monetaria, è stretta letteralmente in una tenaglia: da una parte ci sono gli Stati Uniti, con la loro vocazione egemonica ormai declinante e la loro cultura turbocapitalistica. Dall’altra l’Asia, con il campione cinese in prima linea, che ha fatto del lavoro a basso costo l’asso nella manica per il successo delle sue esportazioni.

La costruzione della moneta unica non poteva che recepire questo stato di cose, che ha investito anche i paesi che formalmente stanno fuori dall’unione monetaria, a dimostrazione di come la vicinanza geografica conti più dei trattati internazionali.

L’Europa intera, perciò, sta vivendo una variante aggiornata del dispotismo asiatico di marxiana memoria. E la costruzione della moneta unica ne è stato il momento saliente.

E’ nato il dispotismo euro-asiatico. E noi tutti lo stiamo sperimentando.

Per chi non lo ricordasse, il dispotismo asiatico è la declinazione politica del modo di produzione asiatico teorizzato da Marx ed Engels. Una sistema di produzione dove un’entità politica quasi trascendente (il sovrano o il despota), dotata di poteri dirigistici pressoché illimitati, può guidare in maniera centralizzata i processi economici delle varie comunità locali. Queste ultime accettano di sacrificare la propria autonomia in favore dell’autorità del sovrano che in cambio governa e decide cosa si debba fare e come.

Se alla parola sovrano sostituiamo la parola Europa, le assonanze fra il modo di produzione asiatico e il nostro stato di cose diventano sorprendenti.

Tuttavia, l’Europa ha una sua specificità, figlia della sua storia: la democrazia e la libertà. A differenza dei regimi dispotici, nei nostri paesi si vota ed esistono alcuni diritti. Ma è stata proprio questa specificità che ha originato la variante del dispotismo che stiamo sperimentando.

Gli stati europei hanno scelto liberamente di aderire alla costruzione europea, che nelle intenzioni di chi l’ha pensata, doveva consentire la nascita di una massa critica sufficiente a temperare le pulsioni dispotiche orientali con quelle del turbocapitalismo occidentale. E non è certo uno scherzo della storia o della geopolitica che sia stata la Germania, vero ponte fra Oriente e Occidente, il motore economico e culturale dell’Europa di oggi. D’altronde Marx era tedesco.

L’introduzione dell’euro ha statuito la nascita di questa sorta di terza via, ma al contempo ne ha aumentato i rischi di aborto, anche e soprattutto a causa della crisi, di origine statunitense, che ha trovato nella costruzione europea terreno fin troppo fertile grazie agli squilibri interni indotti dall’unione monetaria.

Oggi l’Europa rischia di finire stritolata dai due colossi, orientale e occidentale, perché non è in grado di elaborare una variante orginale del proprio modello di sviluppo. Rischiamo di importare il peggio dell’Asia – dispotismo più o meno illuminato (i famosi burocrati di Bruxelles) – e il peggio dall’America, ossia finanza sregolata, indebitamento senza freni, costanti tensioni e bolle finanziarie. E il campo in cui questi peggioramenti convergono è, inevitabilmente, quello dei diritti dei lavoratori.

Il lavoro deve costare poco: su questo concordano sia gli americani che i cinesi. Figuriamoci i “despoti” euro-asiatici.

Il futuro ci dirà se l’Europa, che come al solito è diventato il campo di battaglia di una guerra mondiale per la supremazia globale, finirà con l’assomigliare sempre più alla Cina o all’America.

Per il momento l’austerità imposta dai paesi del Nord sta favorendo la svalutazione dei salari del paesi del sud (quelli del nord sono già stati svalutati) via disoccupazione indotta più o meno consapevolmente, e insieme un aumento costante della centralizzazione dei poteri, a cominciare da quelli fiscali (fiscal compact).

Se l’Europa vorrà continuare a far crescere la sua economia con le esportazioni, come se fosse la Cina, è chiaro a tutti quale sarà il prezzo da pagare in termini di costo del lavoro. Il dispotismo Euro-asiatico, magari di lingua tedesca, segnerà il nostro futuro.

L’alternativa è far crescere la domanda interna e gli investimenti, accettando quindi l’inflazione che prima o poi aumenterà, che ha il vantaggio di svalutare i debiti (e quindi i crediti a chi ce li ha) che la Bce ha di recente definito “raramente osservati in tempo di pace”.

Infatti siamo in guerra.

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