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La lotta mortale tra Stato ed enti locali su energia e infrastrutture

Bari, 28 febbraio 2013: il comitato Valutazione Impatto Ambientale della Regione Puglia esprime parere negativo nei confronti del permesso di ricerca di idrocarburi “off-shore” richiesto dalla Shell Italia per un tratto di mare compreso tra la Calabria e la Puglia, nello Ionio.

Roma, 7 marzo 2013: Leonardo Senni, capo dipartimento energia del Ministero dello Sviluppo, annuncia che il documento finale sulla Strategia energetica nazionale (Sen) è in arrivo “a giorni”, e che verrà tradotto in un decreto interministeriale. Come noto, la Sen punta molto sullo sfruttamento delle riserve di idrocarburi nazionali, anche e forse soprattutto se si considerano quelle in mare aperto.

In queste due notizie quasi contemporanee e così contraddittorie si coglie probabilmente il quesito non più rinviabile di fronte al quale la classe dirigente deve – a nostro parere – interrogarsi in maniera finalmente definitiva: cosa vogliamo fare di questo Paese?

Nel caso specifico la Shell ha ricevuto già un altro secco no dalla Regione Basilicata, pure competente come la Puglia (e la Calabria) a esprimere il suo parere sulla compatibilità ambientale del progetto proposto dalla multinazionale anglo-olandese. Se la titolarità tecnico-giuridica in ordine alle decisioni autorizzative rimane in capo al Ministero dello Sviluppo Economico (che però deve tener conto dei pareri delle Regioni), il dato politico è chiarissimo: ci sono territori che oggi si esprimono con forza contro la ricerca e l’estrazione petrolifera, soprattutto in mare.

E c’è un governo alla fine della sua esperienza vorrebbe lasciare in eredità al successivo (e in extremis) un pacchetto di norme che puntano invece anche sulla ricerca e sullo sfruttamento di idrocarburi.

Non si contano più i casi di contrasto istituzionale sui progetti energetici, che riguardino il possibile sfruttamento di giacimenti di petrolio e gas (decine le prese di posizione contrarie di regioni o enti locali, in tutta Italia, contro i più svariati progetti di ricerca o di coltivazione on shore ed off shore) o lo stoccaggio (famoso il caso di Rivara, in provincia di Modena). Guerra giuridica e politica in aumento anche sulla “innocua” fonte eolica (il Molise e la Sardegna legiferano in maniera originale e in contrasto con le linee guida nazionali sull’eolico e successivamente si imbarcano in contenziosi davanti alla Corte Costituzionale contro il Governo nazionale).

E dunque: cosa vogliamo fare di questo Paese? Vogliamo uscire dalla logica meramente industriale dell’investimento energetico? Vogliamo puntare tutto su altre risorse, su altre fonti di approvvigionamento (ammesso che sia completamente possibile?).

Vogliamo rinunciare a significative riserve di gas e petrolio in nome della protezione totale dell’ambiente? Totalmente legittimo. Ma, per favore, decidiamolo. L’ambiguità, l’incertezza, la contraddittorietà con cui centro e periferia, stato e enti locali, ministeri e regioni discutono, si accapigliano, si combattono su gran parte dei progetti energetici e infrastrutturali di questo Paese non è più tollerabile.

Un nuovo parlamento e (forse) un nuovo governo si stanno affacciando sulla scena politica. Le forze oggi in campo rendono difficile se non impossibile pensare ad una riforma del Titolo V della Costituzione, che, come qualcuno vuole, potrebbe riportare in capo allo Stato centrale la competenza delle decisioni sulle materie energetiche, in virtù della loro strategicità.

E allora chiediamoci almeno se e con quale animo e con quali intendimenti vorranno lavorare su questi temi, e se gli “8 punti” di Bersani e il “non programma” del Movimento 5 Stelle, il PDL e Mario Monti potranno dirci chiaramente, e possibilmente in fretta, se e come vorranno risolvere questo stallo, che è di certo politico. Ma sta diventando soprattutto economico. Già, perché si tratta di lavoro, nonostante tutto.

Giovanni Galgano

managing director Public Affairs Advisors
@GioGalgano @PAAdvisors

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