Che cosa pensano della geopolitica e delle grandi questioni internazionali i neo parlamentari grillini confluiti da ieri a Roma per iniziare a organizzarsi?
Per il momento, non è dato sapere. Come su molti altri aspetti di questo “oggetto sconosciuto” che si aggira per la Capitale. Si possono però fare delle ipotesi sulla base del profilo comunicativo adottato da Grillo e grillini.
Le due sfide
Non è un problema da poco. In questi giorni si accumulano due grandi questioni, che sono collegate alla “geopolitica classica” delle risorse – quella che il Movimento 5 Stelle sembra considerare completamente superata. Da una parte, l’interruzione dei rifornimenti di gas dalla Libia nel fine settimana, a seguito degli scontri tra frazioni ribelli attorno al campo di Mellitah. Dall’altra, più remoto e sullo sfondo, ma come un rumore di fondo più fastidioso, la recrudescenza dell’islamismo nigeriano, che sembra collegato secondo alcune analisi all’intervento francese in Mali.
La strategia di Stati Uniti e Francia
A collegare le due vicende il filo nero dell’economia fossile degli idrocarburi, che la formazione di Grillo sembra ritenere del tutto superata, oltre che da abbandonare al più presto per una serie di motivi ben fondati dal punto di vista ecologico e tecnologico. Ma vi è un altro filo conduttore, che accomuna al resto della classe dirigente i nuovi venuti, anche i più scettici sull’importanza del petrolio e del gas per il futuro del Paese. Ed è l’assenza di una chiara strategia italiana di ingaggio con l’Africa, epicentro di crescenti conflitti economici per le risorse (dal gas algerino sotto attacco terroristico, all’uranio del Niger, al petrolio e al gas della Libia e della Nigeria). Mentre gli Stati Uniti ormai da tempo hanno elaborato una visione africano-centrica, e la Francia si dimostra abile nel tentativo di legare a sé le sorti e le simpatie dell’Africa nera contro l’islamismo africano, l’Italia tende ad andare a ruota, senza una bussola precisa.
Il radicalismo energetico-politico a 5 Stelle
Da questo punto di vista l’apporto di elaborazione che può provenire dai grillini forse è destinato a rispecchiare quello del radicalismo del XXI secolo, che è radicalismo energetico-politico come quello del XX secolo era politico-sociale. In pratica, l’ideologia della West Coast tra Los Angeles e Seattle, liberale e antiproibizionista, tecnologica e verde, anarcoide ma non anti-capitalistica, espressione di gruppi intellettuali urbani sempre più “in rete” che ritengono il petrolio e l’economia fossile come la “matrice” delle sventure geopolitiche americane, come una maglia che invischia la potenza americana in alleanze con regimi retrivi (Arabia Saudita) e nelle incomprensibili dinamiche della diplomazia segreta europea invisa al wilsonismo (e ad Assange). Non sono isolazionisti, ma internazionalisti in un senso nuovo, di apertura all’immenso mercato asiatico-pacifico, e per questo pronti a chiudere una porta alla vecchia Europa e alla sua economia statica. In pratica, appaiono isolazionisti qui, da questa parte dell’Atlantico, ma addirittura intervenisti dalle parti di Tokyo, Canberra o Seoul.
L’opzione europea di Grillo
Quale contributo dunque possiamo aspettarci da questa visione per l’Italia? Forse un limite di proporzioni: la rottura con l’economia fossile del Medio Oriente è possibile in America perché là c’è la grande e promettente frontiera tecnologica del Pacifico che coinvolge le economie più dinamiche del mondo (inclusa la stessa India, corteggiata dalla diplomazia Usa). Ma forse c’è anche un’opportunità: la concezione energetica di Grillo & Co, molto ancorata alla strategia europea (rinnovabili, produzione decentrata e distribuita, ecc), rappresenta un’opzione forte a favore di Bruxelles, la garanzia che anche eventuali scostamenti monetari dall’ortodossia francofortese (siano essi reali minacce o puri espedienti retorici) troveranno argini nella proposta industriale filoeuropea nel settore più importante per la geopolitica del futuro, quello energetico-ambientale.